Il capo ha sempre ragione.

Di
Marco Fontana
6 Agosto 2024

Ok, come tutte le frasi serve andare oltre la prima reazione. Questo è quello che per decenni eravamo costretti ad accettare nelle nostre aziende. Poi qualcosa è cambiato, si é rotto, soprattutto dopo la pandemia, e il ‘capo’ si è trovato all’improvviso sul banco degli imputati. In bilico tra l’ideale che viene predicato e il sano realismo di chi deve imparare ad esercitare la propria responsabilità.

 

Ma qual è il segreto di una vita lavorativa felice e soddisfacente? Per la maggior parte di noi che cerchiamo di navigare al meglio nelle carriere aziendali, la risposta rimane vaga, sfuggente.

Di recente ho ascoltato con attenzione il podcast “Working It” del FT, dedicato proprio a questo tema, trattato da esperti, ma anche da esperienze ‘sul campo’.  Ne emerge uno spaccato piuttosto esaustivo e, probabilmente, valido a prescindere dall’azienda e dal contesto geografico. Una certezza: non esiste un percorso rapido per raggiungere il nirvana in ufficio. Ma si possono seguire alcuni spunti operativi.

 

Guardati allo specchio prima di criticare il tuo capo

Nelle nostre menti, il posto di lavoro funziona come se fosse un mondo parallelo, fantastico. Un luogo dove siamo versioni migliori di noi stessi. La verità è meno poetica. Andiamo a lavorare trascinandoci un carico di emozioni, pregiudizi, storie personali, a volte una vita di delusioni e alcuni cimeli d’infanzia. Parte di quel bagaglio non è utile né a te né ai tuoi colleghi e potrebbe persino sabotare il tuo lavoro e la tua carriera. Gabriella Braun, direttrice di Working Well (azienda di consulenza specializzata sulle tematiche del luogo di lavoro), afferma che un concetto psicoanalitico chiamato “la terza posizione” può aiutare. Comporta l’uscire da noi stessi, per osservare le nostre interazioni come farebbe un osservatore. Concentrarsi sul proprio “comportamento come lo vedono gli altri”, come dice Braun, aiuta a rivelare cosa tu e il tuo bagaglio state portando a incontri tesi o difficili, così da poter rispondere con maggiore intuizione e comprensione.

 

Tutti vogliono essere ascoltati, ma nessuno vuole ascoltare

Se non hai letto frasi ‘inspirational’ o ascoltato seminari sul linguaggio aziendale su ‘i capi che ascoltano il personale’, dove sei stato negli ultimi quattro anni? La pandemia ha inaugurato l’era dei capi più empatici. O meglio, dei capi che cercano di essere più empatici. È a volte difficile ascoltare attentamente in un contesto lavorativo, soprattutto quando c’è uno squilibrio di potere. Per i manager impegnati, ogni riunione ha un obiettivo, e quando i dipendenti sollevano altre preoccupazioni, stanno deviando dalla missione. Tuttavia, un ascolto migliore potrebbe migliorare praticamente tutto al lavoro.

Inizia a migliorare l’ascolto rifiutandoti di pensare a cosa dirai dopo. Concentrati su ciò che il tuo team o il tuo capo sta dicendo. Assimilalo. E fai domande. Prima fai una domanda. Poi ripeti, con le tue parole, ciò che hai sentito. Terzo, chiedi al tuo collega se hai capito bene. E permetti a tutti di riconoscere di essere stati capiti.

 

La Generazione Z ci sta mostrando il futuro del lavoro, che ci piaccia o meno

L’impatto della Generazione Z  nella forza lavoro sarà enorme: probabilmente il cambiamento più significativo da decenni. Non vuol dire che sottostimo l’importanza dell’Intelligenza Artificiale sul lavoro, ma sto parlando di un altro livello.  Il lato umano del lavoro diventerà più importante man mano che le macchine libereranno le persone dai compiti amministrativi. E la Gen Z è diversa da noi. Davvero diversa. L’idea popolare che i giovani vogliano annullare i manager  è semplicistica, ma molti della Gen Z si aspettano responsabilità per ciò che vedono come errori. Sono anche aperti riguardo alle lotte per la salute mentale, che sono diffuse: un recente rapporto ha rilevato che uno su tre tra i 18 e i 24 anni segnala una condizione di salute mentale. Esercitano una “forza gravitazionale” sulla forza lavoro. Tutti gli altri si adatteranno alla Gen Z piuttosto che il contrario: le vecchie norme presto o tardi verranno meno. Mantenere i lavoratori più giovani  impegnati sarà quindi un grande investimento, e il futuro per i manager potrebbe essere quello di supervisionare il benessere personale oltre allo sviluppo professionale. Pochi datori di lavoro hanno compreso la portata, l’ampiezza e l’impatto sismico di questo cambiamento.

 

Manager non si nasce, ma si diventa

Non esiste un “gene manageriale” che significa che i naturalmente simpatici e comprensivi diventavano grandi capi, mentre i tipi dogmatici, meno emotivamente intelligenti, diventavano cattivi manager. Chiunque può diventare un buon manager. Ma senza la giusta preparazione, supporto e sviluppo, nessuno può. Molti diventano manager quasi ‘per sbaglio’. Se è il tuo caso, non sei solo. Ma non dovresti nemmeno accettarlo. Chiedi formazione, supporto, altrimenti ti troverai in difficoltà. E il tuo team perderà i benefici di un buon professionista.

 

Prendi più rischi: se non lo fai, te ne pentirai

Quando si presentano grandi opportunità, potresti dover fare più lavoro per sfruttarle al meglio.  Devi decidere quanto è troppo, ma suggerisco che se il lavoro extra è intrinsecamente gratificante, per il tuo avanzamento, interesse o piacere personale, allora vale la pena considerarlo. Fare una tonnellata di cose extra perché qualcuno lo chiede, senza riconoscimento o crescita professionale? Basta dire di no (anche se mi rendo conto che non è sempre possibile). Ricordati che man mano che invecchiamo, è più probabile che ci pentiamo di ciò che non facciamo. I

rimpianti di carriera mostrano che dovremmo preoccuparci meno del rischio.

 

Adoro questa frase. Potrebbe essere la cosa migliore che ho imparato ascoltando i podcast del FT.

 

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