Italia quart’ultima per innovazionetra i 22 Paesi più avanzati

Italia quart’ultima per innovazione tra i 22 Paesi più avanzati

Di
Redazione Millionaire
31 Maggio 2023

Su 22 Paesi ad alta performance innovativa (Stati Uniti, Canada, Israele, Cina, Giappone, Svizzera e 14 paesi europei), l’Italia si posiziona al quart’ultimo posto per capacità di produrre innovazione. 

Dopo l’Italia solo Spagna, Lettonia e Grecia. Ai primi posti Israele, Usa e Regno Unito. Sono i risultati dell’Ambrosetti Innosystem Index 2023, presentato all’Ambrosetti Technology Forum 2023 che si è tenuto una settimana fa a Stresa. «Bisogna stimolare la voglia di fare impresa. In Italia abbiamo imprenditori eroici che nonostante mille difficoltà hanno saputo crescere e conquistare quote di mercato.

Nel 2022 le nostre esportazioni hanno registrato un record storico: 625 miliardi di euro, +20% rispetto all’anno precedente. E questo risultato non si raggiunge se non sei un innovatore nel prodotto che vendi. Ma occorre una visione a lungo termine a livello Paese per rimontare la classifica dei Paesi avanzati a più elevato tasso di innovazione».  Questo è il messaggio lanciato da Valerio De Molli, Managing Partner & CEO di The European House Ambrosetti

 

Valerio De Molli, Managing Partner & CEO di The European House - Ambrosetti
Valerio De Molli, Managing Partner & CEO di The European House – Ambrosetti

 

Pochi investimenti in ricerca e sviluppo e scarsa capacità di sviluppare un ambiente attrattivo

L’indice prende in considerazione i dati dal 2019 al 2021 mediante l’analisi di 18 indicatori, raggruppati in 5 cluster: capitale umano, risorse finanziarie e supporto dell’innovazione, ambiente innovativo, attrattività dell’ecosistema, efficacia dell’ecosistema dell’innovazione. 

Che cosa non va? L’Italia registra pochi investimenti in ricerca e sviluppo, sia da parte delle imprese (la spesa è pari allo 0,9% del PIL contro il 4,8% di Israele) sia da parte del Governo (0,5% del PIL contro lo 1,07% della Norvegia). Eppure i nostri ricercatori sono tra i migliori al mondo (siamo al quarto posto nella classifica Ambrosetti), con più di 20 mila pubblicazioni citabili e oltre 33mila citazioni ogni 1.000 ricercatori. Ma ci sono criticità nel tradurre questa eccellenza attraverso la registrazione di brevetti, con appena 0,3 domande di brevetto depositate a livello mondiale (WIPO) ogni mille abitanti (15° posto). La buona notizia: stiamo destinando più talenti alle discipline STEM. Nel tasso crescita STEM siamo i primi, ma in valore assoluto siamo in fondo alla classifica

Abbiamo una scarsa capacità di sviluppare un ambiente attrattivo per investimenti e nuovi talenti (20° posto) di nello stimolare sinergie collaborative tra università e imprese. 14mila sono i ricercatori che tra il 2008 e il 2019 hanno scelto di emigrare all’estero. Inoltre se guardiamo le registrazioni di nuove imprese per mille abitanti, l’Italia si trova al 14° posto con 3 imprese ogni mille abitanti (capofila sono gli Stati Uniti con 35 imprese ogni mille abitanti, l’Estonia con 24,2 e il Regno Unito con 18,1).

 

Italia: le startup ci sono, ma pochi gli unicorni

E le startup? La ricerca ha esaminato il numero di startup per milione di abitanti: il primato va dell’Estonia con 865 startup, seguono Irlanda (666) e Danimarca (573). L’Italia si attesta nella seconda metà della classifica con 234 startup per milione di abitanti, valore comunque superiore alla media UE (190). Risulta sottodimensionata anche come numero di unicorni (società con una valutazione di mercato superiore al miliardo di euro), con solo due aziende valutate oltre un miliardo di dollari nell’ultimo decennio (Satispay e Scalapay, ndr). Negli Stati Uniti il valore dell’unicorno con valutazione più alta è 137 miliardi di dollari (SpaceX), in Uk 33 miliardi (Revolut), in Germania 13 miliardi (Celonis). In Italia un miliardo.

In controtendenza il valore del venture capital: in tutto il mondo è sceso, in Italia è salito, ma siamo ancora molto indietro in valore assoluto. Nel 2022 sono stati effettuati investimenti per circa 1.179 milioni di euro, pari a l’1% degli investimenti effettuati in Europa.

«It’s not enough, se vogliamo far parte dell’Olimpo dei migliori» commenta De Molli. «Il mondo va veloce, e così la competizione». Guardando ancora alla classifica aggregata, notiamo come l’Italia non sia cresciuta rispetto alla precedente rilevazione dell’indice Ambrosetti del 2020, mentre i tre Paesi dietro di noi lo sono. «Il rischio il prossimo anno è di trovarci all’ultimo posto».

 

Le quattro proposte da cui ripartire per sostenere l’ecosistema dell’innovazione

 

1. Incrementiamo gli investimenti in ricerca e sviluppo

Occorre una governance unitaria della ricerca, che altrimenti rischia di essere troppo frammentata. In particolare, 1) incrementare gli investimenti in ricerca per raggiungere l’obiettivo di 3% del PIL definito dalla Commissione Europea (vs. 1,51% in Italia), 2) rafforzare le strutture di ricerca e creare “campioni nazionali” di R&S su alcune “Key Enabling Technologies” come previsto dal PNRR. Ma anche 3) finanziare e creare programmi di ricerca di lungo periodo.

 

2. Facilitiamo i processi di trasferimento della conoscenza dalla ricerca alle imprese

Con l’obiettivo di favorire lo sviluppo di un sistema di trasferimento tecnologico efficace che punti alla cooperazione e alla collaborazione dei centri di competenza pubblici e privati regionali.

 

3. Trasformiamo l’Italia in un “Paese per unicorni”

Per diventare un Paese capace di attrarre investimenti e stimolare la nascita e la crescita di realtà imprenditoriali innovative e all’avanguardia, bisogna agire sull’ecosistema imprenditoriale, semplificando le procedure burocratiche e offrendo ad imprenditori e investitori un quadro economico-giuridico chiaro. Inoltre, serve incentivare lo sviluppo del venture capital come volano per la crescita con vocazione internazionale delle imprese. 

 

4. Lanciamo un New Deal delle competenze

Oltre la metà delle aziende italiane ha difficoltà a reperire risorse con adeguate competenze e si stima che entro il 2026 debbano essere formati oltre 2 milioni di occupati con competenze digitali di base per stare al passo con le necessità del mercato. È urgente definire nuovi programmi per l’insegnamento delle competenze digitali lungo tutto il percorso di formazione, intervenendo già nei primi anni di scuola, ma anche favorire la crescita del numero degli iscritti agli istituti tecnico superiori (ITS), dove rafforzare i percorsi ad hoc dedicati al digitale. 

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