Sono morti per venire in Italia. Alla ricerca di una vita vivibile, di un lavoro con cui garantirsi la sopravvivenza e qualche soldo da mandare a casa. Sono morti con la speranza di trovare una nuova patria, un luogo in pace, in cui ricevere accoglienza, aiuti e cure. Sono morti sognando un futuro. Ma il loro futuro è naufragato a mezzo miglio dall’isola dei Conigli, Lampedusa, Sicilia, Italia, Europa.
Il numero degli immigrati, somali ed eritrei, che non ce l’hanno fatta è ancora incerto, ma si parla di oltre 300.
«Viene la parola vergogna: è una vergogna! Uniamo i nostri sforzi perché non si ripetano simili tragedie» ha detto papa Francesco.
Per il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: «Bisogna reagire e agire. Non ci sono termini abbastanza forti per indicare anche il nostro sentimento di fronte a questa tragedia».
Ma perché queste persone affrontano tali e tanti pericoli per venire proprio in Italia dove la situazione è così critica, viene da chiedersi. Che lavoro pensano di trovare, se il tasso di disoccupazione è così elevato? Quale benessere, vista la crisi che stiamo vivendo?
In realtà, dobbiamo pensare che siamo fortunati. Non abbiamo guerre. Non ci sono perseguitati politici. Non si spara nelle strade. I diritti fondamentali sono assicurati. C’è la libertà di muoversi, esprimere le proprie opinioni, studiare. E fare impresa.
Pur fra mille difficoltà, per il Sud del mondo, noi e il resto d’Europa siamo una terra promessa.
Ricordiamocelo.
Redazione