La fuga dei risparmi italiani: un affare di fiducia
Negli ultimi anni, abbiamo assistito a una vera e propria emorragia di capitali dall’Italia verso l’estero. Solo una piccola parte dei nostri risparmi, circa il 16%, rimane investita nel nostro Paese. Il resto si disperde in un mare sconfinato di opportunità straniere.
Cosa spinge gli italiani a questa scelta, apparentemente controintuitiva? Innanzitutto, la ricerca della diversificazione. Le banche e i gestori finanziari ci ripetono da sempre che mettere tutti i nostri uova nello stesso paniere è rischioso. Per questo motivo, ci propongono di investire in una moltitudine di asset, sparsi in tutto il mondo. In questo modo, si spera di proteggersi da eventuali tempeste finanziarie che potrebbero abbattersi sul nostro Paese.
Ma c’è dell’altro. Negli ultimi decenni, l’Italia ha attraversato periodi di grande incertezza economica e politica. Questo ha minato la fiducia degli italiani nelle istituzioni e nelle prospettive future del nostro Paese. Di conseguenza, molti hanno preferito spostare i propri risparmi all’estero, considerati un rifugio sicuro in tempi turbolenti.
Inoltre, le politiche governative volte a incentivare gli investimenti in Italia non hanno finora prodotto i risultati sperati. I vari strumenti finanziari introdotti per favorire le imprese nazionali, come i PIR, non sono riusciti ad attrarre un numero sufficiente di risparmiatori.
Le conseguenze di questa fuga di capitali sono molteplici e preoccupanti. Innanzitutto, le piccole e medie imprese italiane, il motore dell’economia del nostro Paese, faticano a trovare i finanziamenti necessari per crescere e innovare. In secondo luogo, l’Italia diventa sempre più dipendente dall’estero, perdendo parte della propria autonomia economica.
Per invertire questa tendenza, è necessario riconquistare la fiducia degli italiani. Questo significa mettere in atto politiche economiche serie e credibili, che dimostrino la volontà di rilanciare il Paese. Inoltre, è fondamentale migliorare la comunicazione tra le istituzioni e i cittadini, spiegando in modo chiaro e trasparente le scelte che vengono fatte.
A tal riguardo, illuminante l’intervento, sul Corriere della Sera, del Prof. Stefano Caselli dell’Università Bocconi.
La risorsa di cui l’Italia ha più abbondanza di altri paesi è il risparmio delle famiglie, ma stentiamo a trasformarla in investimenti che stimolino la crescita.
I buyback e i delisting che hanno interessato la borsa italiana sono, in parte, il riflesso di tendenze globali, ma in parte conseguenza di alcune caratteristiche nazionali.
Vedo tre linee di azione che potrebbero contribuire a rivitalizzare i nostri mercati:
– Scelte fiscali che non facciano leva su bonus temporanei, ma avvantaggino strutturalmente l’equity rispetto al debito.
– Una crescita dell’industria nazionale dell’Asset Management, che non potrebbe che coagularsi intorno alle nostre maggiori banche e assicurazioni.
– Una maggiore presenza degli investitori istituzionali italiani nel mercato domestico. Una suggestione arriva dall’Inghilterra, dove è stato proposto di vincolare il 5% del portafoglio dei fondi pensioni in aziende inglesi.
Così potremo fare in modo che il risparmio delle famiglie, la nostra grande risorsa, contribuisca al nostro sviluppo.