La nuova cedolare e la continua guerra dello Stato italiano alle nuove forme di economia

La nuova cedolare e la continua guerra dello Stato italiano alle nuove forme di economia

Di
Redazione Millionaire
4 Novembre 2023

A partire da gennaio 2024, il regime fiscale italiano subirà una modifica significativa per quanto riguarda la cedolare secca applicata agli affitti brevi. La Manovra 2024, ancora in fase di bozza, prevede un incremento dell’aliquota dal 21% al 26% per alcuni immobili locati fino a 30 giorni, dettaglio che interesserà in modo particolare i proprietari di seconde e terze case. Questo cambiamento rappresenta una delle tante novità introdotte dalla Legge di bilancio targata Meloni.

Nello specifico, l’aumento della cedolare secca influenzerà i proprietari che affittano le loro abitazioni per brevi periodi. Attualmente, esistono due fasce di aliquota per la cedolare secca: 10% e 21%, applicabili in base al rispetto di determinati requisiti. La normativa attuale permette ai proprietari di scegliere la cedolare secca come alternativa al regime ordinario di tassazione Irpef. Questa opzione rappresenta una Flat Tax che sostituisce diverse imposte, tra cui l’imposta sul reddito delle persone fisiche, le addizionali, le imposte di registro e di bollo sui contratti di locazione.

Con l’introduzione della nuova aliquota al 26% dalla Manovra di bilancio 2024, però, ci saranno delle distinzioni: l’aliquota al 21% rimarrà valida per chi affitta la prima casa, mentre la nuova aliquota al 26% sarà applicata per la seconda, terza e quarta casa locata. È importante notare che tale modifica fiscale si accompagni all’introduzione di un codice identificativo nazionale per le locazioni brevi.

Un ulteriore aspetto da considerare è il limite massimo imposto per l’applicazione della cedolare secca, attualmente fissato a 4 appartamenti per ciascun periodo di imposta. Oltre tale soglia, l’attività di locazione è considerata imprenditoriale, richiedendo l’apertura di partita IVA e la perdita della possibilità di beneficiare del regime fiscale agevolato.

Queste novità, se confermate dall’impianto della Manovra, renderanno necessarie delle nuove valutazioni per i proprietari di immobili interessati dalle locazioni brevi. È consigliabile per questi soggetti informarsi in modo approfondito sulle modifiche e valutare l’impatto fiscale che ne deriverà per le loro attività. In questo contesto, si rivelano utili guide giuridico-fiscali, come quelle offerte da esperti del settore, che permettono ai piccoli proprietari immobiliari di navigare le complessità normative, evitando rischi di abusivismo o di evasione fiscale.

Se dovesse passare, e probabilmente lo farà, questa scelta potrebbe rivelarsi come l’ultimo attacco del nostro Paese non solo alle piattaforme quali Airbnb, ma in generale al principio di sharing economy che, nell’immobiliare, trova i suoi volumi più importanti. Questa sarebbe una delle maggiori mosse regolatorie contro una piattaforma di sharing economy in Italia, ricordando le restrizioni precedentemente imposte a Uber.

La sharing economy si è sviluppata come risposta all’esigenza di sfruttare beni sottoutilizzati, rendendo possibile, tramite la tecnologia digitale, la condivisione affidabile di beni tra estranei. Le piattaforme digitali hanno quindi permesso di superare la barriera della fiducia, attraverso recensioni e feedback, creando un mercato che nel 2021 valeva globalmente circa 113 miliardi di dollari.

Tuttavia, l’innovazione della sharing economy ha anche creato tensioni. Gli operatori tradizionali hanno sofferto la concorrenza dei nuovi player digitali, spesso meno regolamentati. Inoltre, nel caso specifico degli affitti brevi è grande la controversia per la quale le grandi città sostengono di aver risentito dell’indisponibilità di immobili per affitti a lungo termine, dell’aumento dei prezzi e della gentrificazione. Che poi questo corrisponda alla realtà, dati alla mano, è altro ‘affare’.

Di fronte a questi fenomeni, i legislatori, non solo in Italia, hanno reagito spesso in modo reattivo, equiparando l’attività delle piattaforme digitali a quella degli operatori tradizionali, come nel caso di Airbnb che potrebbe essere tenuta a raccogliere tasse di soggiorno e imposte sugli affitti brevi, o vietando determinate attività imprenditoriali, come per Uber.

Questo approccio, secondo alcuni (e tra questi anche la nostra Testata), risulta anticoncorrenziale e protezionista. Inoltre, non sembra sostenere adeguatamente l’economia tradizionale, poiché quest’ultima continua a rimanere poco innovativa ed inefficiente.

Nonostante ciò, non si afferma che ogni regolamentazione della sharing economy sia superflua. Alcuni ordinamenti stanno esplorando metodi innovativi di regolamentazione, che includono il coinvolgimento anticipato del regolatore per permettere agli innovatori di sperimentare le proprie soluzioni in sicurezza. La chiave è la programmazione, per evitare cambiamenti normativi repentini che possano frustrare gli investimenti di imprenditori e consumatori. La nuova proposta fiscale italiana potrebbe quindi rappresentare un passo indietro, potenzialmente dannoso per l’ecosistema emergente della sharing economy. Ecosistema che, cosa che si dimentica sempre di menzionare, ha generato decine di migliaia di posti di lavoro grazie al sorgere di migliaia di nuove aziende.

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