Negli ultimi giorni, il Regno Unito è stato teatro dei peggiori disordini civili degli ultimi decenni, con violenze che si sono estese in tutto il paese e che, al momento non accennano a spegnersi. La polizia ha arrestato, finora, oltre 400 persone a seguito di scontri scoppiati dopo un terribile fatto di cronaca.
Un fatto grave, ma che si somma ad anni di crescente violenza sempre più giovane, che si esprime tra le gang dei sobborghi più poveri e nella contrapposizione tra i ‘white British’ (come ci si deve dichiarare anche nei certificati pubblici) e gli altri British (figli di una popolazione multirazziale e multiculturale da decenni).
E il problema ci riguarda, perché a livello sociale – ed economico – è molto più vicino a noi di quanto non si voglia riconoscere. Lo si vede anche in Francia, in Germania e nel Nord Europa anche se con toni diversi e ci dovrebbe servire da monito.
Un incendio che viene da lontano
La realtà è che nel Regno Unito, forse in modo più evidente che in moltissimi paesi europei c’è un crescente disagio sociale che contrappone flussi migratori non gestiti da decenni, scarsa integrazione e sentimenti di rifiuto da parte di una fetta crescente della società. Fastidio che diventa odio razziale (i reati associati sono in crescita continua) ed occasionalmente religioso.
Ridurre il problema al controllo dell’immigrazione illegale sarebbe riduttivo. Perché l’immigrazione da tutto il mondo non è una novità per il Regno Unito. Gli scontri e gli attacchi riguardano anche cittadini nati nel Regno Unito di diverse etnie, non solo quelli di prima immigrazione, sicuramente non solo quelli arrivati illegalmente. Quelle che erano le colonie, fino al dopoguerra, sono diventate comunità sul territorio nazionale e non sempre integrate. Cosa diversa era l’immane immigrazione europea degli ultimi 30 anni, che aveva eletto Londra come la città cosmopolita per eccellenza. Diversa perché gran parte degli immigrati europei, pur con i loro accenti, hanno avuto modo di integrarsi in modo molto più strutturato nella società. Ma con lo strappo della Brexit, che nell’illusione britannica doveva rappresentare il controllo dei confini, è esplosa l’immigrazione della manovalanza delle ‘vecchie colonie’ con sempre maggiori differenze razziali, di religione e culturali.
Anche ridurre il problema all’estrema destra sarebbe riduttivo, perché il sentimento è più diffuso di quanto lo si voglia riconoscere. Chi aggredisce la polizia e cerca di incendiare gli alberghi che ospitano gli immigrati in attesa di asilo è sicuramente un delinquente, per giunta organizzato. Ma a latere ci sono centinaia di migliaia di cittadini ‘normali’ e ‘insospettabili’ che ‘simpatizzano’ e si fanno trascinare per un sentimento di ingiustizia e di oggettiva fatica finanziaria che ha colpito ampie fasce della popolazione. E non è un caso che a milioni si siano spostati nel partito populista di destra (Reform UK) con chiare posizioni anti-migratorie. Chi vive nel Regno Unito riconosce che negli ultimi dieci anni sia diventato quasi ‘ammissibile’, nonostante il perbenismo a tratti ‘woke’ di parte dei Labour, una forma di presunta superiorità in gran parte della società. E questo anche verso i cugini europei.
I fatti
Il 29 luglio, tre bambine sono state uccise durante una lezione di danza a Southport. False informazioni circolate online, che identificavano erroneamente il sospettato come un richiedente asilo musulmano, hanno scatenato proteste e violenze di estrema destra in tutto il paese.
I disordini si sono allargati a macchia d’olio, segnale che aspettavano solo un’occasione propizia, e hanno coinvolto diverse città, tra cui Londra, Manchester, Belfast, Plymouth e Darlington. A Belfast, caso rarissimo, le rivolte hanno visto la partecipazione di gruppi paramilitari di fazioni storicamente opposte, ma unite dal rifiuto per gli immigrati. A Rotherham un hotel che ospitava richiedenti asilo è stato incendiato. Attacchi mirati sono stati condotti contro moschee e comunità musulmane in altre città. La polizia ha risposto con arresti e misure di sicurezza rafforzate per prevenire ulteriori episodi di violenza.
La reazione politica
Il Primo Ministro Keir Starmer ha presieduto una riunione d’emergenza con i capi della polizia e i ministri, promettendo giustizia rapida per i rivoltosi. Il governo ha dichiarato che i responsabili delle violenze potrebbero essere perseguiti per reati di terrorismo e ha implementato misure urgenti per proteggere le moschee e garantire la sicurezza pubblica. Le autorità locali hanno intensificato le operazioni di polizia, con un aumento della presenza di forze dell’ordine nelle aree più colpite.
Le sommosse hanno avuto risonanza anche a livello internazionale, con diversi paesi che hanno emesso avvisi di sicurezza per i loro cittadini che intendono viaggiare nel Regno Unito. Questo ha messo in allarme le (enormi) comunità di immigrati residenti nel Regno Unito, che vivono ora con una crescente preoccupazione per la loro sicurezza quotidiana
Il ruolo dei social media
I social media hanno giocato un ruolo cruciale nella diffusione dei disordini. La disinformazione e le campagne di odio sono state amplificate su piattaforme come Twitter (ora X) e Facebook, contribuendo a infiammare gli animi e coordinare le azioni violente. Yvette Cooper, home secretary, ha evidenziato come queste piattaforme abbiano agito da “propulsori” per i contenuti che incoraggiavano la violenza, chiamando i responsabili delle piattaforme a un maggiore controllo e responsabilità.
L’intervento di Elon Musk
Elon Musk ha contribuito ulteriormente ad alimentare le fiamme del conflitto. Utilizzando la sua piattaforma social, X, Musk ha dichiarato che una “guerra civile è inevitabile” nel Regno Unito. Questa affermazione ha scatenato una forte reazione da parte del governo britannico, con il Primo Ministro Keir Starmer che ha condannato i commenti di Musk come “profondamente irresponsabili”. Musk ha continuato a postare messaggi di supporto per i manifestanti anti-immigrati, aumentando la tensione già esistente. In uno dei suoi post, ha utilizzato l’hashtag #TwoTierKeir per accusare il governo di Starmer di avere un approccio di polizia a due livelli, dove i manifestanti di destra vengono trattati più duramente rispetto ad altri gruppi di protesta.
Possibili evoluzioni
Il governo britannico sta valutando ulteriori misure per affrontare la crisi, tra cui la possibilità di perseguire i responsabili dei disordini con accuse di terrorismo e l’implementazione di tribunali notturni per accelerare i processi e ridurre l’accumulo di casi giudiziari. Tuttavia, queste misure hanno sollevato preoccupazioni circa la capacità del sistema carcerario di gestire un numero così elevato di detenuti, simile a quanto avvenuto durante i disordini del 2011.
La situazione nel Regno Unito rimane tesa, con il governo e le autorità locali impegnati a ristabilire l’ordine e la sicurezza. La comunità internazionale osserva con attenzione, mentre le tensioni interne continuano a mettere alla prova la resilienza sociale e politica del paese. Una ferita che richiede una cura molto più profonda.
Burning Britannia e noi?
La cool Britannia è ora in fiamme, a livello sociale e a livello economico. La responsabilità politica viene da lontano ed è condivisa da gran parte dei politici: quelli che hanno governato negli ultimi 14 anni (Tories) e quelli al governo da poche settimane (Labour). Ma la responsabilità è condivisa anche un po’ da tutta la popolazione, pur ‘contaminata’ da popoli da tutto il mondo che qui sono stati ospitati, ma integrati solo in parte. Tra questi centinaia di migliaia di italiani e le loro imprese.
A giudicare dal silenzio su questi fatti da parte della stampa italiana c’è la sensazione che il fatto non ci riguardi. La realtà è che il nostro Paese avrebbe la possibilità di anticipare rischi simili per il bene della nostra società e benessere di tutti. La cosa ci riguarda personalmente e da vicino. Il problema è che siamo troppi distratti dalle nostre ‘beghe’ interne e dalla smania di proteggere il nostro ‘Made in Italy’ per avere una visione minimamente strategica.