Nausicaa Dell’Orto
Nausicaa Dell’Orto, foto Gold Gym ©

“L’importante è lottare e andare avanti”

Di
Lucia Ingrosso
9 Febbraio 2024

Nausicaa Dell’Orto, 30 anni, è capitano della nazionale femminile di football americano, un posto prenotato ai Giochi Olimpici di Los Angeles 2028. Negli ultimi dieci anni, ha fatto il pieno di trofei. Una volontà di ferro. Un nome mitologico e profetico (nell’Odissea è una principessa che gioca a palla con le sue ancelle). Laureata, insegna anche in università. Ha una forma mentis internazionale: ha lavorato negli Stati Uniti e parla inglese, francese e spagnolo. Producer di contenuti Nfl (la Lega Nazionale del Football Americano) per Dazn, ha ottenuto la nomination per due Sports Emmy Awards per i suoi documentari. Nata e cresciuta a Milano, ha aperto alle donne le porte di questo sport. Prima, in Italia le ragazze facevano solo le cheerleader. E dovevano essere già contente così. Poi è arrivata lei.

 

Chi l’ha detto che le ragazze non ce la fanno?

Incontriamo Nausicaa nella palestra di Milano. Il suo fisico statuario quasi stona con la dolcezza dei suoi occhi azzurri e la gentilezza dei suoi modi. La nostra chiacchierata parte dalla frase di un professore di educazione fisica: «Voi femmine potete anche fare i piegamenti più facili sulle ginocchia». Nausicaa si indigna: «Dovrebbe insegnare alle ragazze a farli normalmente. Il female empowerement non si fa con frasi vuote come “Vai, ce la puoi fare!”, ma con insegnamenti concreti grazie a cui realizzare gli obiettivi».

 

Aspirante cheerleader, ma poi…

«Da piccola, ho praticato tanti sport: danza, tennis, ginnastica artistica. Ma nessuno mi ha rapito il cuore come il football americano, scoperto per caso. A un certo punto, come cheerleader, mi trovo a una partita di football. Ma non riesco a stare ferma, voglio giocare anche io. Eppure c’è un problema: il football americano femminile, in Italia, ancora non esisteva». È il 2011, Nausicaa ha 17 anni e le idee chiare. «Raduno le appassionate, andiamo dal presidente e gli proponiamo di formare la squadra femminile. Lui ci ride in faccia. “A malapena sapete giocare a calcio, figuratevi a football!”. Non ci perdiamo d’animo e iniziamo ad allenarci al Parco Sempione, con il padre di una nostra compagna, che ci fa da coach». L’attrezzatura è vecchia, originale anni Ottanta, tirata fuori da un garage polveroso. Ma l’entusiasmo è giovanissimo. Finché la squadra di Milano ne incontra una di Bologna.

«Alla partita ci sono 400 persone e un tifo esagerato. Vinciamo e il presidente si convince a investire in una squadra femminile. E anche la federazione ci dà il suo appoggio. Ci siamo dovute guadagnare il diritto di giocare». Oggi in Italia ci sono oltre 100 squadre femminili di flag football (la versione senza contatto) e 15 di football americano. Una bella differenza. Il problema è che, ai suoi esordi, Nausicaa deve combattere un nemico agguerrito: suo padre. «Tuttora lui non sa che gioco. È anziano, non ha i social. Non glielo dico, perché quando ero più giovane non voleva e, se scopriva che giocavo, mi picchiava. Quando tornavo dagli allenamenti, le prendevo. Mi buttava il casco e il paraspalle nella spazzatura, così dovevo correre a recuperarli e nasconderli a casa della mia migliore amica. In famiglia avevo tutti contro, finché mia mamma ha iniziato a sostenermi».

 

Nausicaa Dell’Orto
Nausicaa Dell’Orto, foto Flag Football Brasil ©

 

La sua passione è anche un lavoro

Allenamenti, partite ed esami all’università. Nausicaa si laurea in Lingue, comunicazione e media alla Cattolica di Milano, poi fa un master a Boston. Lavora a Sky come assistente di produzione e dopo va in America a lavorare per Nfl Films, per tre anni. Adesso è testimonial di alcuni brand e produce documentari sportivi per Dazn. «Il football mi ha regalato non solo una passione, ma anche un lavoro». Secondo lei, allenarsi non è utile solo per eccellere nello sport. «Lavorare sulla forza fisica non è importante per scappare dai molestatori! È importante perché ti aiuta a fare un trasloco e portarti le valigie da sola. Rende indipendenti. Così come è importante l’indipendenza economica: in questo modo non ti tocca stare in situazioni scomode».

Si parla della difficoltà che hanno le donne a fare gruppo. «Succede perché sono abituate a essere messe in competizione per pochi posti disponibili. Ma quando le donne lavorano insieme, arrivano molto più lontano. E fare gruppo funziona anche al lavoro. Se una donna crede in quello che fa, spacca tutto. Se poi lavora con altre donne, ottiene risultati straordinari». Differenze fra uomini e le donne? «Il mio coach americano diceva: agli uomini dici di sfondare un muro e loro lo fanno. Le donne prima ti chiedono perché. E poi lo fanno meglio. Le donne devono sempre sapere il perché delle cose. E hanno una marcia in più. Sanno prendersi cura degli altri, sono generose e inclusive. E poi sono abituate a parlare dei problemi, primo passo per risolverli».

Che cosa insegna il football americano al mondo dell’azienda? «La squadra è una macchina ben oliata fatta di tanti ingranaggi che si muovono all’unisono. Ogni ingranaggio conta e si muove verso la vittoria. Questo sport insegna a essere solidali, difendersi l’un l’altro, cooperare verso un obiettivo comune, anche se si è diversi e si parlano lingue differenti. L’importante è lottare e andare avanti. Insegna anche che ciò che è successo prima non determina il risultato della partita. Se mi cade la palla e sbaglio, non vuol dire che perderò la partita, perché già guardo all’azione dopo. Questo aiuta a pensare in modo neutro quando ci sono problemi e bisogna prendere decisioni cruciali, sul lavoro. Occorre concentrarsi su ogni piccola azione, su ogni passo che ci fa arrivare all’obiettivo».

 

Articolo pubblicato su Millionaire di dicembre 2023 / gennaio 2024.

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