Una volta c’era il pacchetto di sigarette inquadrato in modo furtivo. Oggi sembra che siano i prodotti a nobilitare i film e non viceversa, al punto di comparire addirittura nei titoli (pensiamo a Il diavolo veste Prada) o influenzare la trama. Si chiama product placement ed è una realtà sempre più interessante, perché crea lavoro e contribuisce a finanziare la maggior parte dei film.
«Nel 2011 e 2012 il product placement ha portato alla produzione cinematografica tra i 25 e i 35 milioni di euro all’anno e ha interessato sei film su dieci. Tutte le aziende possono usarlo e il fenomeno è in crescita, sia in Italia che all’estero. Il product placement rappresenta circa il 10% delle risorse private che contribuiscono alla produzione cinematografica nazionale. In Italia c’è una mezza dozzina di agenzie specializzate in product placement raccolte nell’Associazione per il product placement» spiegano Andrea De Micheli e Luca Oddo, rispettivamente AD e presidente di Casta Diva Group, casa di produzione pubblicitaria nata nel 2005, che oggi conta dieci sedi nel mondo e ha realizzato varie acquisizioni.
Che attività svolgete? Quanto “pesa” per voi il product placement?
Facciamo progetti di comunicazione integrata, spot, video virali, eventi corporate grandi e piccoli. Nella nostra carriera abbiamo lavorato per più di cento top brand in una trentina di Paesi. Recentemente abbiamo creato una divisione per la produzione di film e programmi tv e in questo campo il product placement è una delle componenti essenziali dei nostri piani finanziari».
Quanti varianti di ppl esistono? Quali le più “gettonate”?
Fare product placement significa inserire un prodotto in un film, in modo che gli attori lo usino o parlino della sua marca in modo naturale e spontaneo. Questa forma di comunicazione è tanto più efficace quanto più è trasparente rispetto alla trama del film e invisibile alla coscienza degli spettatori. Vi sono casi estremi, in cui il prodotto diventa il protagonista assoluto del film, come in “The Italian Job”, in cui le tre Mini piazzate da BMW nel film hanno ricevuto una grande carica di dinamismo. Dal punto di vista tecnico si distinguono diversi tipi di product placement: visual pp, quando il prodotto è in scena, ma non è portato all’attenzione dello spettatore; verbal pp, quando gli attori nominano il brand; plot pp, quando il prodotto fa parte integrante della trama del film, o addirittura title pp, come nel caso de “L’ultimo Crodino”, o Il diavolo veste Prada”».
Ci sono dei prodotti per cui il product placement funziona meglio?
Gli occhiali sono ideali perché possono essere inquadrati con i soggetti potenzialmente più interessanti di un film: i volti delle star. Casi di successo: i Ray-Ban in “Risky Business”, “Men in Black” e “Terminator 3”. Gli occhiali da sole di Neo in “Matrix” furono commercializzati solo dopo l’uscita del film».
Quanto costa all’incirca piazzare un prodotto in un film, in un programma tv, in una web series?
In Italia i costi vanno da 5.000 a 500.000 euro. Spesso il product placement è abbinato a un investimento diretto nel film tramite lo strumento del tax credit esterno, come nel caso di Poste Italiane con “Benvenuti al Sud” e “Benvenuti al Nord”, un caso di clamoroso successo del product placement in Italia».
Esiste la possibilità di un ppl più economico, magari su scala locale, per piccole imprese?
Certo: molti programmi delle tv locali sono sponsorizzati da PMI, che inseriscono loro prodotti all’interno delle trasmissioni. Ma anche nel cinema nazionale, come s’è visto, ci sono occasioni molto economiche. In aumento le opportunità sul Web, ne è una prova “Una mamma imperfetta”, la web series prodotta da Indigo, Corriere e Rai».
INFO: www.assoproductplacement.it
Da leggere: La fabbrica degli spot, di A. De Micheli e L. Oddo, Lupetti, 20 euro.
Lucia Ingrosso