Neuromarketing

Quando lo shopping è una questione di feeling

Di
Lucia Ingrosso
11 Aprile 2023

Avete mai sentito parlare di neuromarketing? Viene spesso utilizzato da parte dei big brand con lo scopo di analizzare i processi inconsapevoli che avvengono nella mente del consumatore e che influiscono sulle decisioni di acquisto. Il coinvolgimento emotivo nei confronti del brand da parte del consumatore gioca un ruolo molto importante nella strategia scelta.

 

Rotterdam, 2002. Ale Smidts, professore di management, conia il termine neuromarketing. In pratica, si tratta della disciplina scientifica che studia il modo in cui il cervello percepisce ed elabora gli stimoli di marketing per poi fornire una risposta, di gradimento o meno. Una vera rivoluzione, capace di ridisegnare le strategie delle aziende, anche nell’ottica di evitare fallimenti nel lancio di nuovi prodotti (percentuale tuttora molto alta); e un’opportunità di business per quelle agenzie che vogliono dotarsi delle necessarie attrezzature per fornire una consulenza ad hoc, così come per i professionisti che intendono formarsi nella materia ed entrare in un settore in rapida espansione. «Il neuromarketing è oggi una disciplina matura e solida, che vanta oltre 2.000 paper pubblicati ogni anno. Alcune grandi aziende hanno già al proprio interno un laboratorio e delle funzioni dedicate, mentre molte lo utilizzano abitualmente. Ma ora anche le imprese piccole e medie si stanno avvicinando a questo mondo, per calibrare meglio le loro proposte per i clienti», spiega Caterina Garofalo, esperta e docente di neuromarketing, fondatrice e presidente di Ainem, Associazione Italiana Neuromarketing.

 

 

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Risposte che aiutano le aziende

Ma in che modo il neuromarketing aiuta le aziende? «Analizzando un campione di persone – spiega Elena Sabattini, comunicatrice e fondatrice del laboratorio di neuromarketing B SIDE di Bologna – il neuromarketing può rivelare il gradimento reale intorno ad aspetti diversi: uno stand in fiera, un sito, un’esperienza di e-commerce o di acquisto in negozio, una campagna promozionale, il packaging di un prodotto…». Per testare il sistema, B SIDE ha sottoposto a indagine il suo stesso logo. Risultato? «Tra i 10 proposti, uno si è imposto. Il 58% del campione lo ha scelto inconsapevolmente, contro il 37% di quelli che lo hanno dichiarato nel questionario scritto. Oggi le ricerche scientifiche ci dicono che il primo dato è quello più attendibile», racconta la Sabattini. 

Un punto di forza del neuromarketing è proprio che ci dice ciò che le persone desiderano veramente e non quello che pensano di desiderare. Spesso, nel corso di ricerche di mercato e sondaggi, anche per leggerezza o condizionamenti occulti, vengono fornite opinioni inesatte che, alla lunga, rischiano di rivelarsi fuorvianti e controproducenti. Il neuromarketing, invece, basandosi sulle emozioni e su precisi parametri fisici, è in grado di fornire risposte che, se correttamente interpretate, risultano molto più attendibili. Non solo, mentre per esempio Big Data e intelligenza artificiale analizzano informazioni relative al passato, il neuromarketing ha anche un valore predittivo. È infatti capace di orientare le scelte di marketing delle aziende, poggiandosi su solide basi.

Fantascienza? No, scienza. Caterina Garofalo spiega come funziona: «Il laboratorio ha al suo interno, oltre al software di analisi, almeno tre macchinari principali. L’eye tracker è un dispositivo che segue i movimenti oculari e fa capire quali elementi colpiscono maggiormente l’attenzione. L’elettroencefalogramma, EEG, registra le onde cerebrali e fornisce informazioni su: attenzione, engagement, memorizzazione, sforzo cognitivo… Il GSR, galvanic skin responser, misura infine la sudorazione che è un ulteriore indice di emozioni». Oggi è possibile allestire un laboratorio con un investimento di circa 30-40 mila euro.

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Non contano più i bisogni, ma i desideri

Questa disciplina esprime un cambiamento di paradigma: ora le persone (non più clienti o consumatori) sono al centro dell’attenzione (una ricerca di neuromarketing ne esamina in genere una trentina) e a contare non sono più i loro bisogni (in gran parte soddisfatti) ma i loro desideri. Occorre però fare attenzione. «È un settore molto di moda e in pieno sviluppo, dove però c’è anche tanta improvvisazione. Perciò occorre sempre controllare le referenze dei consulenti e il corretto uso della strumentazione nonché la giusta applicazione del metodo», mette in guardia Elena Sabattini. A fare la differenza, in ultima analisi, è la formazione. 

«Per i giovani, ci sono due aree universitarie di provenienza: il marketing da una parte e le neuroscienze dall’altra. Poi esistono dei master, in Italia e all’estero. Fra gli altri segnalo quello della IULM di Milano. Anche Ainem porta avanti dei percorsi formativi, fra cui un master dedicato alle agenzie che vogliono introdurre questa specializzazione», conclude Garofalo. Chi vuole cominciare, può farlo in modo soft, leggendo libri come Neuromarketing e scienze cognitive per vendere di più sul Web, di Andrea Saletti (Flaccovio Editore), Neuromarketing applicato di Giuliano Trenti (Hoepli) e Manuale di neuromarketing di C. Garofalo, F. Gallucci e M. Diotto (Hoepli).

 

Articolo pubblicato su Millionaire marzo 2023

 

 

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