La piattaforma di food delivery che fino a oggi ha consentito ai suoi utenti di ordinare cibo da asporto da una rete di ristoranti partner cesserà le attività in Italia a partire dal 15 luglio. Un’uscita di scena non priva polemiche. La proprietà infatti ha fatto sapere tramite i suoi legali di non essere interessata a incontrare le sigle sindacali per negoziare un qualsivoglia scivolo per gli oltre settemila fattorini impiegati. I rappresentanti dei lavoratori saranno convocati solo per discutere il destino dei 50 dipendenti della sede centrale di Milano, mentre collaboratori occasionali e partite iva si avviano verso un’estate senza redditi né ammortizzatori sociali.
Dalle auto alla gastronomia
Nata nel 2014 come costola della più nota Uber Technologies, la multinazionale ideatrice del servizio di trasporto automobilistico privato che attraverso un’applicazione mobile mette in contatto passeggeri e autisti, in meno di un decennio l’azienda ha esteso la sua influenza a livello mondiale. A usufruirne sono più di 6 mila città sparse in 45 paesi per un giro d’affari di quasi 8,5 miliardi di dollari. Eppure pochi giorni fa l’amministratore delegato Dara Khosrowshahi da Amsterdam ha annunciato il ritiro dal Belpaese dopo sette anni.
Le cause
La spiegazione ufficiale recita: “Purtroppo, non siamo cresciuti in linea con le nostre aspettative per garantire un business sostenibile nel lungo periodo”. In pratica, da quando nel 2016 ha aperto a Milano, Uber Eats non ce l’ha fatta a competere con le concorrenti Just Eat, Deliveroo e Glovo, preferite dalla clientela nostrana. Secondo il portale Measurable AI la quota di mercato conquistata dalla creatura di Travis Kalanick e Garrett Camp si aggirerebbe attorno al 7%. Un risultato ben lontano dal 25% conseguito negli Stati Uniti, dove l’app è dietro solo alla rivale DoorDash.
Le reazioni
La notizia è stata accolta con rabbia dai circa 8.500 rider presenti nei 60 comuni legati a Uber Eats. I loro rappresentanti protestano per le modalità della comunicazione, avvenuta via mail e a neanche un mese dal licenziamento collettivo. Un vero e proprio schiaffo in faccia all’intero movimento delle consegne a domicilio, che da anni chiede più tutele per la categoria. e che era riuscito a far approvare dal Consiglio europeo la “Direttiva sul lavoro di piattaforma”. Il documento pone le basi del processo che porterà a una regolamentazione del comparto nel prossimo futuro. Nel frattempo però, nella maggior parte dei casi, le imprese continuano a somministrare contratti di prestazione occasionale e di collaborazione o sono costretti ad aprire partita Iva.