Festival di Cannes 2018 Ph. Daniele Venturelli By Mackenzie.wong, from Wikimedia Commons

Una criptovaluta da film

Di
Lucia Ingrosso
2 Ottobre 2018

Una storia che sembra un film. Un ragazzo ciociaro, senza soldi, va a Hollywood e si fa strada come produttore cinematografico. Si chiama Andrea Iervolino e ha lanciato Lamborghini, il primo film prodotto con una criptovaluta.

Andrea Iervolino, 30 anni, ci viene consegnato dalle cronache come uno dei produttori più attivi di Hollywood. Nel settore da quando ne aveva appena 15, racconta di aver prodotto, finanziato e distribuito oltre 80 film. Nel 2014, nell’ambito del Festival del cinema di Venezia, ha ricevuto (con il regista Barry Levinson e il protagonista Al Pacino) il Mimmo Rotella Award per il film The Humbling. Due anni dopo, la rivista americana Variety lo ha indicato, insieme alla socia Monika Bacardi, fra i 10 produttori da tenere d’occhio. Negli anni, ha lavorato, fra le altre, con star del calibro di Antonio Banderas, Valeria Golino, James Franco e John Travolta. E oggi assicura che cambierà per sempre il mondo dell’entertainment grazie a una valuta digitale: il TaTaTu. Millionaire lo ha intervistato.

Ad appena 30 anni sei un produttore affermato di Hollywood: come hai fatto?

«Ho iniziato prestissimo: primo business a 6 anni, primo lavoro nel settore dello spettacolo a 13. E poi tanta gavetta, in mezzo a grandi difficoltà».

Facciamo un passo indietro, partiamo dai tuoi nonni…

«I miei nonni materni erano poverissimi. Andarono in Canada in cerca di fortuna. Mia nonna chiedeva l’elemosina, mio nonno vendeva fiori per strada. Per questo io oggi cerco sempre di aiutare chi si trova in difficoltà. Non potendo avere figli, decisero di adottare una bambina in ospedale, mia madre, poi decisero di tornare in Italia, nella natia Cassino, nel Lazio. La famiglia di mio padre, invece, era ricca. Mio nonno era un imprenditore, che nel Sud “inventò” il primo centro commerciale. Mio padre era un ragazzino felice e privilegiato finché, quando aveva 13 anni, mio nonno morì, a soli 40 anni, lasciando sei figli, l’ultima di sei mesi. Senza di lui, l’impresa ebbe un tracollo».

E poi sei nato tu, non proprio sotto una buona stella.

«I miei si sono conosciuti giovanissimi. Mio fratello è nato quando mia madre aveva 17 anni, io l’anno dopo. Mio padre, che era nato ricco, aveva grandi difficoltà nel gestire la situazione: abusava di alcol, soffriva di depressione. Io somatizzai la situazione. A sei anni balbettavo in modo imbarazzante e la maestra scrisse una lettera a mia madre in cui le suggeriva di mandarmi in una scuola per “ritardati mentali”. Per fortuna lei non le diede retta».

È vero che hai fatto il tuo primo business a sei anni?

«A scuola, mio fratello e io portavamo come merenda delle brioche economiche, che mia madre comprava in confezioni risparmio al supermercato. I nostri compagni, invece, portavano le merendine di marca, più buone e costose, che noi non ci potevamo permettere. Da lì l’idea di spacciare le nostre modeste merendine per “canadesi” e venderle a 500 lire l’una, realizzando un bel margine. Con i guadagni, mi potevo permettere il panino e la lattina di Coca-Cola per far merenda con gli altri. E l’acquisto del pallone Super Santos, 3.500 lire, che mi consentiva di essere accettato nel gruppo».

13 anni: l’età del secondo business…

«È il 2000: arriva Internet e capisco che può essere una nuova forma di pubblicità per negozianti e piccole attività. Con due amici, metto su un’attività che realizza siti Internet. Immaginateci che andiamo in giro a vendere: io balbuziente, Benedetto, 18 anni, più largo che lungo, Rinaldo, con la “r” moscia. Al grido di “Noi siamo il futuro” riusciamo a farci una piccola clientela. Benedetto lavora ancora oggi con me».

Quando fai il tuo ingresso ufficiale nel mondo dello spettacolo?

«A 15 anni. Avevo scelto la scuola per geometri, perché era quella con meno materie orali, particolare non secondario per uno che balbetta. Avevo una fidanzatina, la mia isola felice. Quando mi lascia, ci metto sei giorni a realizzare la notizia. Ho anche uno scontro con mio padre, che mi prende a sberle. D’istinto, decido di andarmene da Cassino. Cerco lavoro e faccio un colloquio telefonico per un posto di assistente alla produzione per la realizzazione di spettacoli nei villaggi turistici. Al telefono mi spaccio per maggiorenne, quando il titolare mi vede, mi prende in simpatia e mi assume lo stesso. Lavoro da maggio a settembre a Bibione, occupandomi di tutti gli aspetti organizzativi, imparando un sacco di cose. Sentirmi utile ed essere apprezzato mi fa stare meglio, balbetto sempre meno».

Come sei arrivato a produrre il tuo primo film?

«Torno a Cassino gasatissimo. “So come si fa un film” dico agli amici, anche se in realtà mi ero occupato solo di spettacolini teatrali al limite fra il professionale e l’amatoriale. Mi occupo dello script, trovo la location e le attrezzature di scena. Faccio recitare amici e conoscenti del paese. Io sono regista, attore, factotum. Penso a tutto: mancano solo i soldi. Li trovo con una specie di crowdfunding ante litteram: chiedo a quegli stessi imprenditori a cui avevo venduto il sito Internet.

«Il film costa 100mila euro, il che mi fa ridere: oggi con questa cifra non pago neanche l’avvocato per la consulenza legale. Una volta finito, sorge il problema di come trovare un pubblico. Lo propongo ai vari cinema, ma sono legati tutti da contratti in esclusiva con distributori. La svolta è quando scopro che l’esclusiva vale solo per pomeriggio e sera: la mattina i cinema sono liberi! Così penso di organizzare proiezioni per le scuole, con tanto di dibattito. Nasce così l’iniziativa Cinemaschoolday. I ragazzi pagano 5 euro per l’ingresso. In questo modo, riesco a ripagare gli investitori e finanziare i film successivi».

A fare la differenza sono poi gli incontri…

«Lavorando nell’ambiente, conosco tante persone. Sono intraprendente e ho tanta voglia di fare. Un giorno, un attore che lavora con me mi segnala al produttore Luciano Martino, che diventa il mio mentore. Da lui imparo moltissimo. Quando lui muore, nel 2013, decido di lasciare l’Italia alla volta del Canada, dove c’è la famiglia di mia madre.

«Più recente l’incontro con Monika Bacardi (vedova di Luis, della famiglia del famoso rhum, ndr). Lei era interessata a operare nel mondo del cinema e io le ho portato la mia esperienza e le mie conoscenze. Insieme abbiamo fondato quattro anni fa Ambi: produciamo una dozzina di film all’anno, distribuiamo in 120 Paesi, abbiamo clienti come Disney e Netflix. Di recente abbiamo rilevato una grande library di Hollywood che comprende blockbuster come Sliding doors e Rush. Facciamo tutto: produzione, postproduzione, distribuzione. La nostra società di Los Angeles conta 20 collaboratori, in Canada abbiamo uno studio di produzione che, a seconda del momento, impiega fra 35 e 150 persone».

Da Cassino a Hollywood, come ci sei riuscito?

«Con gradualità. Finanziando i film con i guadagni dei precedenti. Lavorando tanto, a testa bassa e con umiltà, anche come produttore esecutivo. Risparmiando sulle spese. Scommettendo su attori bravi, ma non famosi, o famosi, ma un po’ in disarmo. Guardando sempre oltre».

E il progetto nel mondo della crypto economy?

«Ho creato la piattaforma TaTaTu (https://tatatu.com), dove le persone vengono pagate per quello che vedono. Il recente scandalo dei dati personali usati da Facebook è la dimostrazione di quello che dico da tempo: quando un contenuto è gratis, il prodotto siamo noi utenti. Proprio gli user (privacy, interazioni, gusti…) sono venduti agli investitori per mezzo dei contenuti. Sulla nostra piattaforma dedicata allo spettacolo (film, videoclip, celebrity moment…) i guadagni vengono invece suddivisi fra tutti quelli che ne fanno parte, utenti compresi. Gli user hanno una parte delle revenue, in base ai contenuti che vedono, ma anche agli inviti che fanno. E così guadagnano anche per i contenuti visti dalle persone da loro “reclutate”. Sulla nostra piattaforma, in fase di lancio in tutto il mondo, lo user è premiato per il suo tempo libero».

Come entra in gioco la blockchain?

«Abbiamo scelto di usare una criptovaluta per trasparenza: grazie alla blockchain le transazioni sono controllabili a ogni passaggio. E anche per comodità, dovendo accreditare anche importi da pochi centesimi. Gli utenti potranno poi convertire la criptovaluta in altra valuta, denaro contante oppure diventare un investitore grazie al trading online».

Ma hai fatto una ICO?

«Tecnicamente no. Il progetto è già stato finanziato. Monika Bacardi ha investito oltre 100 milioni di dollari. Il token, creato sulla piattaforma Ethereum, sarà a disposizione degli addetti ai lavori e dei privati. Questa la sua distribuzione: 57% vendita pubblica, 35,5% riserva, 3% advisor, 2,5% bounty e 2% team».

E anche il tuo nuovo film è finanziato grazie alla criptovaluta TaTaTu?

«Sì. Lamborghini, sul fondatore della casa automobilistica. Interpretato da Antonio Banderas e Alec Baldwin». Che, si racconta, ha accettato di essere pagato in criptovalute.

Info: www.andreaiervolinoproducer.com

Tratto dall’articolo “Una criptovaluta da film” pubblicato su Millionaire di luglio-agosto 2018. Per acquistare l’arretrato scrivi a abbonamenti@ieoinf.it

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