Web Tax nella Finanziaria 2025: ennesimo brutto colpo all’innovazione digitale italiana.

Di
Matteo Cerri
25 Ottobre 2024

È passato in sordina, ma dietro il silenzio mediatico si cela una decisione di grande portata che rischia di colpire duramente l’intero ecosistema dell’innovazione digitale in Italia. La manovra finanziaria 2025 introduce una modifica fondamentale alla web tax: l’eliminazione delle soglie di ricavi, un provvedimento che non solo snatura l’intento originario della tassa, ma che rischia di soffocare una fetta sempre più ampia del tessuto imprenditoriale nazionale.

Fino ad oggi, la web tax era chiaramente pensata per le big tech globali, quei colossi con ricavi di almeno 750 milioni di euro su scala mondiale e almeno 5,5 milioni di euro generati in Italia dai servizi digitali. La misura poteva essere giustificata dal bisogno di riequilibrare una situazione di palese squilibrio fiscale tra le multinazionali del digitale e le imprese nazionali. Ma ora? Ora, questa distinzione è sparita.

 

Dal 2026, il 3% di imposta sui servizi digitali sarà applicato senza distinzione, sia che tu sia un piccolo sviluppatore di app o una piattaforma digitale emergente. E qui arriva il cuore del problema: chi non rientra nei “servizi digitali” oggi?

Secondo la stessa definizione fornita dall’Agenzia delle Entrate, la tassa colpirà (come descritta oggi) chiunque offra:

1. Pubblicità mirata su un’interfaccia digitale, ovvero quasi ogni piattaforma che si basa su un modello di business pubblicitario online.
2. Interfacce digitali che permettono l’interazione tra utenti, come marketplace, social media, piattaforme collaborative, applicazioni di condivisione.
3. Trasmissione di dati raccolti dagli utenti tramite l’uso di interfacce digitali, vale a dire ogni sito o applicazione che monitora il comportamento dell’utente.

Non parliamo più solo di Facebook, Google o Amazon. Stiamo parlando di una fetta enorme di imprese italiane che, tra l’altro, non hanno nemmeno lontanamente i margini di profitto dei giganti tecnologici americani o cinesi. Sì, perché è facile dire “tassa il digitale“, ma dimentichiamo che queste imprese sono l’ossatura della nuova economia. Quindi, senza alcun tetto, chi avrà più il coraggio di innovare?

 

Il paradosso: colpire chi cerca di crescere

La retorica ufficiale è sempre la stessa: il governo vuole sostenere le piccole e medie imprese, favorire l’innovazione, creare un ambiente fertile per le startup. Ma come si concilia questo con una tassa che le soffoca nella culla? Imponendo il 3% sui ricavi (non sui profitti!), si finisce per tagliare le gambe proprio a chi cerca di scalare, di innovare, di portare avanti l’Italia digitale.

Non stiamo parlando di giganti che evadono miliardi, ma di piccole realtà che cercano di farsi strada in un mercato già ultra competitivo. L’eliminazione delle soglie significa tassare chiunque operi nel mondo digitale, dal piccolo ecommerce ai provider di servizi cloud, senza tener conto delle differenze abissali nei margini e nelle capacità di investimento.

 

E mentre noi tassiamo, gli altri innovano

Nel frattempo, mentre l’Italia si incaponisce nell’aggiungere ostacoli fiscali, nel resto del mondo si investe sull’innovazione digitale. Paesi come la Francia e la Germania, che hanno sì introdotto delle loro web tax, lo hanno fatto in modo oculato e senza schiacciare il loro ecosistema di imprese emergenti.

In Italia, però, si corre il rischio di trovarsi con un’economia digitale che si svuota, mentre le startup e i giovani talenti si trasferiscono altrove, dove le condizioni fiscali sono più favorevoli e lo spirito imprenditoriale è incentivato, non punito.

 

Il dramma: chi ci rimette davvero?

Il viceministro delle Finanze, Maurizio Leo (lo stesso dietro al ‘capolavoro’ della modifica dei benefici fiscali per i rientri) , sembra non comprendere le conseguenze di questa mossa. “Eliminiamo le soglie”, ha dichiarato con semplicità, come se non stesse abbattendo un argine fondamentale per la sopravvivenza di molte aziende italiane. La web tax, così come la concepisce il governo, finirà per colpire chi è già in difficoltà, chi lotta per trovare uno spazio in un mondo sempre più dominato da colossi inarrivabili. Certo, c’è ancora spazio per modifiche – e speriamo che qualche intervento corra a riparo -, ma quello che preoccupa è il principio che ci sta dietro.

E non dimentichiamoci della ‘novella’ tassazione sulle criptovalute: la ritenuta sulle plusvalenze salirà dal 26% al 42%, un aumento che molti esperti, ritengono disastroso. Se il mondo delle criptovalute, nonostante i rischi, rappresenta il futuro della finanza, l’Italia rischia di perdere l’ennesima occasione per essere competitiva a livello globale.

 

Una domanda: dove vogliamo andare?

Vogliamo davvero che l’Italia diventi un deserto digitale, un Paese dove l’innovazione è vista come un nemico da tassare fino all’estinzione? O vogliamo essere parte del futuro, incentivando le nostre imprese a crescere, a competere e a prosperare in un mondo sempre più digitale?

Perché, a meno che non si cambi rotta, questa web tax non colpirà i giganti della Silicon Valley. Colpirà noi, i nostri imprenditori, i nostri innovatori, e l’economia italiana del futuro.

Il tutto, tra l’altro, per una stima di extra gettito di poche decine di milioni. Tanti soldi, per carità, ma in una finanziaria da svariati miliardi, con la ricomparsa di vecchi bonus su cui si poteva forse limare, le decine di milioni si trovano. Basta avere la volontà politica.

Forse è il caso di ripensarci. Oggi però, non domani.

 

 

 

 

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