Gabriele Gorelli, © Maki Galimberti

Gabriele Gorelli, il primo Master of Wine d’Italia

Di
Silvia Messa
9 Agosto 2023

Quando nasci nella terra del Brunello, forse il vino ce l’hai nel DNA. Ma per diventare Master of Wine non basta. Gabriele Gorelli, 38 anni, ce l’ha fatta grazie a impegno, determinazione e anni di studio. Che cosa fa, quanto guadagna.

 

Un titolo da esibire con orgoglio, che spiana la via a una carriera di successo come consulente nel mondo del vino, con tante opportunità, sfide e gratificazioni economiche: Master of Wine. Gabriele Gorelli l’ha conseguito nel 2021, primo italiano a ottenerlo, dopo un periodo di formazione di oltre sei anni, dure prove, la presentazione di una tesi sperimentale e un esame finale presso The Institute of Masters of Wine in Gran Bretagna. Chi è questo “maestro” per cui il vino non ha segreti? Un professionista preparato, che ha gli strumenti tecnici per riconoscere la qualità, le scelte dei produttori, gli sbocchi di mercato e il futuro dei vini migliori, dalle tavole degli estimatori ai “caveau” dei collezionisti e degli investitori.

 

Ti ha aiutato nascere a Montalcino? 

«Quando sono nato io, nel 1984, quell’area di produzione si stava ancora affermando. Era tutto un fermento! Tanti piccoli e piccolissimi produttori, come mio nonno, si impegnavano per produrre un ottimo vino e trovare sbocchi commerciali, anche all’estero. Stringevano relazioni tra loro, si aiutavano, perché intuivano possibilità di grande sviluppo. A Montalcino si è immersi nella cultura del vino, qualsiasi cosa questo voglia dire: conoscenze e competenze, preservazione della tradizione, contatto coi mercati e i consumatori internazionali. Alla fine delle medie ho realizzato che non volevo produrre vino, ma studiare per avere strumenti per affrontare questo mondo, in cui si muovevano mio nonno, col suo mezzo ettaro di Brunello, e mio zio, enotecnico e consulente. Ho studiato lingue, mi sono laureato in Scienze della comunicazione. Volevo trovare il modo di trasferire il grande sforzo della produzione, essere un anello di congiunzione tra produttori e consumatori. L’inglese, ma soprattutto il francese, e un po’ di tedesco, mi sono serviti tantissimo».

 

Competenze enologiche, agronomiche: come le hai acquisite? 

«Avevo una grande volontà di formarmi. Ho fatto il corso per sommelier dell’Ais, poi l’esame per diventare degustatore ufficiale, a Torino. È stato il primo approccio verso un mondo dove conta la vera preparazione. Nel 2011 già lavoravo da anni, avevo fondato un’agenzia pubblicitaria, di cui ho venduto le quote nel 2022. Con quest’attività mi sono pagato tutti gli studi, da solo. Quando a 18 anni ho aperto la mia partita Iva, il commercialista aveva stappato una bottiglia: ero il suo più giovane cliente».

 

Il lavoro nella comunicazione ti ha aiutato? 

«Mi ha permesso di creare un network di relazioni e contatti preziosi nel mondo del vino, di capirne dinamiche e funzionamento. Ma sentivo di dover fare di più. Ho valutato il Master Oiv, in Francia, ma la scintilla è scattata solo dopo essermi preso un anno sabbatico: ho fatto scuola di vela, ho preso la patente nautica. A volte, quando si guarda da un’altra parte, poi la strada si vede meglio. Ho partecipato a un simposio organizzato dall’Institute of Masters of Wine a Firenze, nel 2014».

 

Cosa ti ha convinto? 

«Cercavano un rappresentante per l’Italia. Nell’Istituto c’era tutto quello che mi interessava: internazionalità, un approccio meno verboso e più concreto, una forma mentis e un metodo scientifico che dà più valore ai contenuti. In Italia a volte si produce “fumo descrittivo”, invece bisogna badare ai numeri, ai dati oggettivi. L’esame che si sostiene all’Istituto non valuta la conoscenza in sé, ma la capacità di comunicarla, di utilizzare il pensiero critico, scientifico. L’Istituto è l’emanazione di un’antica società, con 600 anni di vita alle spalle. In Inghilterra si produceva poco vino e bisognava approvvigionare tutto l’impero senza farsi fregare. Servivano persone esperte, per andare dai produttori, valutare i vini, conoscere la parte legale, le dinamiche di prezzo, di contorno alla produzione del vino, per farlo viaggiare e giungere a destinazione».

 

Perché al mondo ci sono solo 418 Master of Wine? 

«Proprio il fatto che fossero così pochi mi ha affascinato e sfidato. Nel 2014 erano 320. Bisogna passare un esame difficilissimo, una maratona tra degustazione, parte teorica, descrizione scritta in due ore di 12 vini degustati alla cieca, senza saperne nulla. Non basta indovinare i vini. Si è valutati per il modo di procedere, il ragionamento».

 

Gabriele Gorelli, © Andrea Liverani

 

Quanto ti è costato questo titolo? 

«Sei anni di studio. I costi dei vini acquistati e fatti arrivare anche da Paesi lontani, perché in Italia non erano importati. La frequenza a seminari e incontri a Londra, in Germania e nel Nuovo Mondo. I viaggi per conoscere le zone vitivinicole, parlare coi produttori, capire tecniche e modi di lavorare. Difficile quantificare economicamente: solo nel 2016, oltre a spendere 5 mila euro per l’Istituto, ho “investito” 38 mila euro in viaggi di studio: ben 46 voli, La mia tesi, sperimentale, mi è costata 10 mila euro in analisi di vini». 

 

Che cosa fa un Master of Wine dopo l’esame? 

«Continua ad affrontare esami ogni giorno, sia come consulente sia come dipendente di aziende del settore. C’è chi si occupa di aste, di investimenti in vino, ci sono buyer, uomini di marketing, produttori e wine maker. La nostra è una qualifica trasversale, che arriva a occuparsi di aspetti legati alla salute. E che deve sempre comunicare conclusioni e risultati in modo asciutto, mai verboso e ambiguo».

 

Fare parte dell’Istituto cosa significa? 

«Un amico mi ha detto che è come essere “all’Onu del vino”. Un’associazione sovranazionale che muove dinamiche ad alti livelli, con una forte reputazione, soprattutto all’estero, e un suo codice di condotta, relazioni dirette e produttive tra i soci. Ci si confronta, si comunicano esperienze, ci si aiuta. Ottenere il titolo non è stata una vittoria solo mia, ma anche dell’Italia, che negli ultimi 70 anni non ha mai avuto un rappresentante. Ora ci sono altri tre italiani che stanno portando a termine i loro progetti di ricerca, due diventeranno master entro il 2024. Sarò in buona compagnia, siamo diventati “fratelli”, condividendo la trincea! Avremo più forza, potremo offrire la nostra attività consulenziale anche alle istituzioni: Governo, Ita Ice… Partecipare alle fiere e fare la differenza per promuovere i vini italiani».

 

Come? 

«Come ho fatto quest’anno a Vinitaly: guidando degustazioni, tenendo master class con centinaia di partecipanti internazionali sui nostri vini. Per farli conoscere e anche riqualificarli, come sta accadendo per il Lambrusco, per esempio».

 

Chi dà lavoro a un Master of Wine? 

«Consorzi, associazioni di produttori, aziende o gruppi importanti. Per loro il master fa formazione, affronta problematiche tecniche per migliorare la produzione (i tappi, per esempio). Poi ci sono i gruppi di investimento specializzati in vini pregiati, come Oeno Group: il master tiene le relazioni con le cantine, controlla i prezzi, valuta domanda e offerta».

 

Quanto si guadagna? 

«La retribuzione si avvicina a quella cui puoi aspirare dopo un Mba, da dipendente. Da indipendente, però, hai la possibilità di imparare di più da ogni cosa che fai, anche non retribuita. Accumuli conoscenze e un valore che puoi trasferire. Comunque, si vive molto bene, dopo la gavetta».

 

Un consiglio a chi vuole fare questa attività?

«Essere sicuri delle proprie capacità linguistiche e di comunicazione. Viaggiare tanto, per acquisire apertura mentale. E avere fame: curiosità inesauribile, volontà vera di raggiungere il proprio obiettivo. Certo, voltandomi indietro, vedo anche i miei errori, soprattutto accumulare troppi impegni, in alcuni periodi. Ecco, serve una buona programmazione, essere pragmatici e sistematici. Conoscere bene il contesto, per poter essere poi creativi e disruptive».

 

Articolo pubblicato su Millionaire giugno 2023

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