Remo Ruffini: l’uomo che ha rimodellato Moncler

Di
Alessandro Scaglione
16 Settembre 2022

Il brand, appena sbarcato in borsa nel 2013, ha registrato in 2 ore il +40%, facendo del suo Ceo un instant miliardario

Cresciuto dalla madre nella Como degli anni ’70, sarà dal padre che Remo andrà a imparare il mestiere. Lo farà sull’altra sponda dell’Atlantico, dove papà Gianfranco ha costruito il suo successo sulle coloratissime camicie Nik Nik che segneranno l’abbigliamento dell’America discotecara degli anni ’70.

Non sarà però la moda di New York a impressionarlo, bensì quella della Boston preppy delle buone università americane marchiate su polo e cardigan con pantaloni e gonne a fantasia scozzese. Remo vuole portarle in Italia e farle diventare costume italiano insieme al cognome di famiglia. Nasce così New England, fondata nel 1984 in un garage di Como.

Dalle origini ai primi successi

Remo ha 23 anni e lavorerà alla sua creatura per 15 anni, finché non venderà al Gruppo Stefanel (oggi OVS) fondato da Carlo Stefanel partendo dalla modesta produzione familiare di gomitoli di lana grezza, che cerca di piazzare girando in bicicletta i mercati di Oderzo, lasciata la scuola per la prematura morte del padre. Con quei soldi Remo metterà a segno il colpo della sua vita.

È il 2003 e il marchio sul quale ha messo gli occhi ha una storia straordinaria che si sta perdendo nei passaggi di proprietà che si susseguono dagli anni ’90. Una storia che inizia nel 1952 a Monestier-de-Clermont, paesino di 1.000 anime sulle Alpi Francesi dove René Ramillon e André Vincent hanno avviato una produzione artigianale di sacchi a pelo.

Coi loro scarti si scaldano nei rigidi inverni, indossandoli sopra le tute da lavoro. Nascono così i piumini che portano il nome abbreviato di quel paesino e che l’alpinista connazionale Lionel Terray sdoganerà come abbigliamento d’alta quota, indossato in spedizioni importanti come quella italiana del 1954 sul K2 (cui Remo renderà omaggio 60 anni dopo, sponsorizzando la spedizione del 2014).

Con la diffusione degli sport di montagna, i piumini Moncler passeranno dalle montagne alle strade di città. Una per tutte la “Milano da bere” degli anni ’80, che si riempirà dei colori brillanti firmati dalla stilista Chantal Thomass e indossati dai “paninari”.

 

Il successo planetario e i riconoscimenti

Ancora 10 anni e quel marchio iconico oramai schiacciato tra il lusso Prada e lo sportivo North Face, è pronto per essere acquisito da Remo Ruffini, che col gallo francese che campeggia sul logo ha un legame affettivo fin dall’adolescenza: era infatti un Moncler a proteggerlo negli inverni comaschi quando percorreva in motorino i 9 km che lo separavano da scuola, facendogli assaporare le prime libertà di movimento.

La sfida ora è quella di fare del piumino un capo globale e adatto alle occasioni più diverse, recuperando la forte vocazione tecnica del marchio. Remo ci riuscirà studiando il cliente da ogni prospettiva e circondandosi di persone le più diverse, “perché dalla diversità scaturisce la creatività”.

Quando nel 2013 sbarca in Borsa, in 2 ore fa +40% e col suo terzo di quote della società diventa miliardario. Nei 10 anni seguenti moltiplicherà ancora per 3 il valore dell’azienda al netto della pandemia. Nel 2017 è nominato imprenditore dell’anno in occasione della XXI edizione del Premio EY.

Nel 2018 il Presidente Mattarella lo nomina Cavaliere del Lavoro. Nello stesso anno stupisce tutti con Moncler Genius, il progetto che vede il lancio di collezioni create in collaborazione con famosi designer per trasformare il marchio in comunità, in nome della distinzione, dell’inclusività e dell’innovazione.

 

La sinergia con il colosso bolognese Stone Island

Uno degli esperimenti più interessanti nella moda degli ultimi tempi, che scaturisce ancora una volta da un’attenzione affilata e indomita. La stessa che lo ha portato nel 2020 a intuire le sinergie del suo ultimo colpo: Stone Island.

Il brand della rosa dei venti inventata dal bolognese Massimo Osti sperimentando il lavaggio con pietra pomice di un rigido telone bicolore da camion è stato portato al successo dalla famiglia Rivetti (che ha dato all’industria tessile italiana il primo macchinista cardatore nell’800). L’operazione nasce su suggerimento del figlio di Remo e di quello di Carlo Rivetti.

Ha detto Alexandre Dumas: “Chi legge sa molto, ma chi osserva sa molto di più”.

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