Ti porto nel mondo dei robot

Di
Massimo Temporelli
23 Gennaio 2019

Massimo Temporelli, co-founder di TheFabLab, fisico, scrittore e storico della tecnologia, diffonde la cultura dell’innovazione, parla ai ragazzi, tiene conferenze. Interpretando Max, un inventore tuttofare, ha condotto, insieme a Giovanni Muciaccia, il programma di scienza e tecnologia X-Makers: si parla di stampa 3D, fablab, robot, innovazione per i bambini. Le puntate sono online, su Amazon Prime tv. Temporelli ha anche una rubrica fissa su Millionaire dedicata alla Quarta rivoluzione industriale. Ecco quella sui robot, pubblicata a ottobre.

Tra le tante tecnologie che arricchiscono il complesso mondo della Quarta rivoluzione industriale, la robotica è quella che crea le più aspre discussioni e le più profonde paure, ma è anche quella che affascina molti innovatori, promettendo scenari davvero fantascientifici. C’è chi come Bill Gates vorrebbe tassare i robot, riducendo la loro diffusione nell’industria, e chi, come Jeff Bezos di Amazon, ne fa sempre più ampio uso nel suo business. Una cosa è certa, i robot sono già tra di noi e sempre di più condivideranno con noi case, uffici, fabbriche e luoghi pubblici.

La parola robot è apparsa nella nostra cultura grazie allo scrittore ceco Karel Capek che, nel 1920, utilizzò questo termine nel suo dramma teatrale I robot universali di Rossum. In ceco, robota significa lavoro pesante e, in effetti, nei suoi primi usi reali, i robot sostituirono l’uomo nei lavori più pesanti e ripetitivi nelle fabbriche, a partire da metà del Novecento. Un’altra opera letteraria ha giocato un ruolo fondamentale nel mondo della robotica: nel racconto Bugiardo! del 1941, lo scrittore Isaac Asimov presentò le “Tre leggi della robotica” che ancora oggi devono valere per ogni robot: 1 Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno. 2 Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge. 3 Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge.

Dai robot ai cobot

Oggi è possibile dividere la robotica in due grandi famiglie: i robot industriali e i robot umanoidi o androidi. Come detto, i primi sono impiegati nelle fabbriche e nei processi industriali fin dall’inizio della Terza rivoluzione industriale e già negli anni 50 e 60 erano ben conosciuti da chi si occupava di innovazione di processi industriali. Oggi però queste macchine hanno acquisito nuove caratteristiche, in particolare sono più facili da programmare grazie a software e interfacce più intuitivi e, cosa più importante, sono dotati di sensori che “leggono” l’ambiente, permettendo al robot di lavorare fianco a fianco al tecnico o all’operatore. Per questo motivo, questi robot sono chiamati Cobot dall’unione delle parole “collaborative” e “robot”. La forma di questi robot industriali è la più disparata, si passa dai tipici bracci antropomorfi, molto diffusi e flessibili, detti nel gergo tecnico Puma (Programmable Universal Manipulation Arm) a dispositivi più specifici e verticali come gli Scara, i Cartesiani o i Delta. A prescindere dalla loro forma, una volta programmati, la loro funzione è quella di eseguire e ripetere ad alta velocità un’operazione meccanica e noiosa, alleggerendo il lavoro dell’operatore nelle fabbriche.

L’abbassamento dei costi e la facilità d’uso, oggi, stanno diffondendo questi robot nelle fabbriche di tutto il mondo. Il governo cinese, per esempio, sta sostenendo le imprese locali a investire sull’automazione dei processi industriali e, entro il 2020, si prevede che più 100mila robot saranno allestiti nelle fabbriche del Paese. La stessa cosa sta succedendo per molti altri Paesi industrializzati, tra cui Stati Uniti, Germania e Italia.

Sicuramente più affascinanti sono i robot che “vivranno” anche fuori dalle fabbriche e che hanno sembianze umane o di animali domestici (cani in particolare). Questi robot vengono chiamati androidi o umanoidi e saranno sempre più utilizzati nel mondo dei servizi. Dotati di sensori (radar, sonar), intelligenza artificiale e attuatori simili a muscoli e ad articolazioni umane, questi robot sono in grado di muoversi più o meno autonomamente, svolgendo compiti specifici: nei negozi, supermercati, musei, ospedali, in molti altri luoghi pubblici, ma anche nelle nostre abitazioni private. Queste macchine saranno programmate per sostituire i lavori e le attività più ripetitive e noiose delle nostre occupazioni. Anche la storia di questi robot parte da lontano, ma solo negli ultimi anni, grazie a un’elettronica programmabile più efficiente, a nuovi approcci nella programmazione e alla velocità di calcolo, questi robot stanno uscendo dai centri di ricerca delle università per occupare zone del mercato.

Le piattaforme per iniziare

Che siate ingegneri, tecnici, operai attivi nella produzione industriale o professionisti del mondo dei servizi, dell’accoglienza o del retail, iniziare a conoscere queste affascinanti tecnologie è di essenziale importanza. Da qualche anno mi diverto a utilizzare e programmare queste macchine, sia a fini di ricerca e sviluppo sia per motivi educativi. Ho trovato molto efficaci quattro piattaforme: due sono perfette per iniziare a capire i principi della robotica e due sono adatte a usi più professionali. Dunque, se volete iniziare a conoscere la robotica androide, magari divertendovi con i vostri figli, potete iniziare con i piccoli ed economici robottini Ozobot (www.ozobot.com), programmabili con pennarelli colorati. Se invece volete iniziare a sperimentare in modo semplice la robotica industriale, ho trovato molto divertente il braccio di Arduino della serie Tinkerkit. Due piattaforme più professionali, che vi daranno delle vere e proprie competenze utili per essere spese per il mondo del lavoro nell’epoca dell’Industry 4.0 sono invece: la piattaforme di robotica umanoide, proposta da Softbank (Nao e Pepper) e la piattaforma di robotica industriale e.Do, della storica azienda di robotica italiana Comau, di cui ho seguito il programma di tutorial (edo.cloud).

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