Imprenditore forte e visionario, Bernardo Caprotti ha espresso le sue ultime volontà in un lungo testamento-manifesto.
Il documento lasciato dal signor Esselunga non contiene solo disposizioni in materia di eredità. Ma esprime la lucida visione degli affari, dell’impresa, della famiglia e della società di un imprenditore di successo. L’uomo che ha portato la grande distribuzione in Italia nel 1957.
Gli inizi
Caprotti ricorda gli inizi nell’industria tessile del padre e le prime difficoltà: «Ho lavorato duramente. Ho sofferto l’improvvisa tragica scomparsa di mio padre (avevo 26 anni ed avevo lavorato con lui solo 6 mesi). Poi, più tardi, il dissidio coi miei due fratelli la cui liquidazione (richiesta) mi è costata quasi vent’anni di ristrettezze; nell’immane fatica, più tardi, la crisi drammatica e la fine della Caprotti».
Famiglia e impresa
Il patron di Esselunga fa riferimento più volte ai dissidi avuti con i familiari e alle disposizioni date per tutelare l’azienda da eventuali scontri futuri. «Dopo tante incomprensioni e tante, troppe amarezze ho preso una decisione di fondo per il bene di tutti, in primis le decine di migliaia di persone i cui destini dipendono da noi, ma anche per una relativa pace familiare. Famiglia non ci sarà. Ma almeno non ci saranno le lotte. O saranno inutili, le aziende non saranno dilaniate. Così stando le cose auspico, auspico veramente che non ci siano ulteriori contrasti e pretese. Che ognuno possa starsene in pace nei propri ambiti».
Il futuro di Esselunga
Il capitolo finale del testamento è dedicato al futuro di Esselunga. «È diventata “attrattiva”. Con Tornatore lo è divenuta di più. Però è a rischio. È troppo pesante condurla, pesantissimo “possederla”, questo Paese cattolico non tollera il successo. Occorre trovarle, quando i pessimi tempi italiani fossero migliorati, una collocazione internazionale. Ahold sarebbe ideale. Mercadona no. Attenzione: privata, italiana, soggetta ad attacchi, può diventare Coop. Questo non deve succedere».