Meno lavoro, più soldi: è questo il desiderio degli italiani?

Di
Redazione Millionaire
21 Agosto 2022

Pochissime le realtà italiane che adottano una settimana lavorativa da 36 ore invece che 40 senza tagli alla retribuzione. Finora. 

Dell’euro si diceva che ci avrebbe permesso di lavorare un giorno in meno, guadagnando come se avessimo lavorato un giorno in più. Non è accaduto nulla del genere. Anzi, è piuttosto vero il contrario: siamo il popolo che totalizza più ore di lavora e, al tempo stesso, vede gli stipendi stagnare da anni o crollare del tutto.

Così si corre in qualche modo ai ripari e si propone una nuova formula per aiutare i lavoratori italiani: lavorare un giorno in meno e guadagnare una giornata ugualmente retribuita in più. È notizia recente, infatti, che a seguito della caduta del governo Draghi – e quindi in piena campagna elettorale – in Italia sia riemersa con forza la proposta della settimana lavorativa da quattro giorni.

Al momento, sono molte le aziende italiane che adottano – peraltro in via del tutto discrezionale – una settimana lavorativa da 36 ore invece che 40, senza tagli alla retribuzione. Ecco perché la Sinistra italiana, capitanata in questo caso dal Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, ha colto la palla al balzo in vista delle prossime elezioni: “Tutti gli studi in materia dimostrano che non è vero che più si lavora più si è produttivi – ha detto Giuseppe Conte –, oltre a una certa soglia la produttività non migliora affatto, anzi”.

E dunque, la riduzione dell’orario lavorativo a parità di stipendio è tornata ad essere un argomento di attualità anche nel Belpaese. Tutto bello e tutto nobile. A parole. Nei fatti, invece, dovrebbe trovar posto la domanda: chi paga intere giornate non lavorate a livello effettivo?

Per trovare una risposta plausibile a questa domanda è opportuno guardare oltre i nostri confini, al continente e alle isole britanniche, e capire come altri paesi stanno gestendo (in fase sperimentale) proposte analoghe. E, soprattutto, con quali risultati.

 

La settimana lavorativa breve in Spagna e Regno Unito

Si consideri, ad esempio, il caso della Spagna: circa un anno fa, il governo spagnolo ha dato il là ad una sperimentazione che coinvolge circa 200 aziende, per un totale di lavoratori che oscilla tra i 3 e 6mila, al fine di valutare l’impatto sulla produttività generato dalla riduzione della settimana lavorativa a 4 giorni.

Il progetto ha durata triennale ed è garantito in larga parte da denaro pubblico: lo Stato, infatti, si farà carico dei costi relativi alla transizione nella misura del 100% il primo anno, 50% il secondo anno e 33% il terzo anno per tutte le aziende che vorranno aderire all’iniziativa. Riposta breve alla nostra domanda: paga lo Stato.

La Spagna, tuttavia, non è un caso isolato in Europa quanto a sperimentazioni relative alla riduzione dell’orario lavorativo. Nel Regno Unito, un progetto analogo è stato lanciato dal think-tank no-profit “Autonomy” e dalla ong “4 day Week Global”, in collaborazione con alcune prestigiose istituzioni universitarie nazionali (Cambridge, Oxford) e internazionali (Boston College), per misurare gli effetti benefici che una riduzione dell’orario lavorativo, senza alterazione a ribasso degli stipendi, può avere sui lavoratori.

In questo caso, la sperimentazione ha avuto inizio a giugno e potrà essere riconfermata o meno a novembre da tutte quelle aziende che hanno autonomamente deciso di prendervi parte. Anche qui, risposta breve alla nostra domanda: pagano le aziende coinvolte.

I possibili ostacoli al progetto italiano

A livello di risultati, invece, cosa ci si attende? Le ipotesi, che già trovano conferma nella soddisfazione di moltissimi lavoratori ormai non più disposti a tornare sui propri passi, spaziano dall’aumento generalizzato della produttività ad una migliore salute mentale (per via del minor stress accumulato), passando per aspetti complementari come minori consumi, minor inquinamento e maggior work-life balance.

Senza dimenticare che si percepisce uno stipendio tarato su cinque giorni lavorativi per una prestazione effettiva di quattro. Insomma, un’opportunità che nessuno si lascerebbe sfuggire. Tantomeno in Italia.Restano, però, i problemi di fondo: a pagare sono lo Stato in un caso, le aziende nell’altro.

Infatti, soprattutto in Italia, soprattutto post-pandemia, né aziende né Stato godono di ottima salute. Anzi. Le casse pubbliche sono vuote: non a caso, l’Italia è il paese che più beneficerà dei fondi europei per la ripartenza post-Covid (quelli del noto PNRR). Quanto il denaro dei cittadini europei debba essere utilizzato per far lavorare un giorno in meno i cittadini italiani, resta materia di dibattito.

Con riguardo alle aziende, invece, si può solo dire che pandemia prima, oneri e tasse poi, non hanno certo aiutato a incrementare vertiginosamente i bilanci: difatti, il denaro per la ripresa e la resilienza del piano nazionale di cui prima ha come beneficiarie principali proprio le imprese. Un vero a proprio circolo vizioso, quindi.

 

Risultati attesi e valutazioni caso per caso

Si potrà ribattere: “Miglioreranno le condizioni lavorative e quindi aumenterà la produttività”. Questa è una sfida interessante: ammettiamo che una settimana lavorativa con orario ridotto e stipendio intero possa migliorare le condizioni di lavoro, pur escludendo che ciò comporti di riflesso un aumento proporzionale della produttività.

Sebbene il caso europeo dia segnali positivi in questa direzione, la storia insegna che ogni paese è un caso a sé: non necessariamente tra migliori condizioni lavorative e aumento della produttività esiste una correlazione di causa-effetto. Per i giapponesi, che sperimentano forme di settimana breve a stipendio pieno, questo si è rivelato vero: tuttavia, è altrettanto vero che gli stessi giapponesi possono sostenere un debito pubblico molto più elevato del nostro senza intaccare minimamente la crescita economica della nazione.

Dunque, ogni caso è a sé. Solo l’avvio di una sperimentazione sulla scorta di quelle in atto in Europa potrà dirci da quale parte pende l’ago della bilancia. Sempre che il tutto valga davvero il prezzo per le varie parti coinvolte.

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