IA: sensibilità umana o macchinosa? È opportuno l’utilizzo dell’IA a scopo terapeutico o sentimentale

IA: sensibilità umana o macchinosa? È opportuno l’utilizzo dell’IA a scopo terapeutico o sentimentale?

Di
Matteo Cerri
13 Agosto 2023

Dieci anni fa il film “Lei” metteva in scena una relazione sentimentale tra un’intelligenza artificiale e il protagonista. Una rappresentazione che ci sembrava appartenere a un futuro distante, quasi utopico. Ma la realtà sembra averci sorpreso con il passo spedito dell’IA. Andreessen Horowitz (a16z), una delle principali società di venture capital, ha recentemente lanciato un progetto rivoluzionario: creare un partner digitale animato dagli algoritmi.

L’idea di avere un compagno IA può sembrare affascinante e curioso, ma sorge una questione etica profonda: può l’intelligenza artificiale sostituire veramente la sensibilità e l’empatia umana? E non parliamo dell’intrattenimento virtuale verso cui inevitabilmente l’industria a ‘luci rosse’ sta puntando e con prevedibile successo. Qui parliamo del rapporto tra due individui, con comportamenti naturalmente imprevedibili e, grazie a Dio, non sempre ragionevoli.

L’AI Companion App di a16z non è solo un partner romantico virtuale. Le sue potenziali applicazioni spaziano dalle relazioni amichevoli al coaching. La flessibilità dell’app potrebbe far sembrare che stiamo dando vita a entità veramente consapevoli. Ma queste entità sono davvero in grado di comprendere e rispondere alla complessità dei sentimenti e delle emozioni umane?

Pensare che un algoritmo possa trattare con problemi sentimentali, psicologici o terapeutici è rischioso. Nonostante a16z abbia accennato al potenziale terapeutico di questi sistemi, è essenziale interrogarsi sulla genuinità delle interazioni con tali entità. Le relazioni umane sono imprevedibili, complesse e ricche di sfumature. Una IA, per quanto avanzata, resta un insieme di codici incapace di empatia autentica.

Mentre chatbot come Replika sono già esistiti, l’idea di sviluppare legami sentimentali con essi è controversa. Le IA non hanno una coscienza, né la capacità di comprendere appieno la psiche umana. Affidarsi ad una macchina, pur sofisticata, per supporto emotivo o addirittura terapeutico, potrebbe essere deviante o potenzialmente dannoso. Nel rapporto tra persone subentrano dinamiche come l’immedesimazione, il perdono o l’accettazione di soluzioni non ‘meccaniche’ che trascendono dall’algoritmo e variano da rapporto a rapporto. Come programmare l’imprevisto di una mano tesa contro ogni ragionevole attesa? Se pensiamo che ci possano essere ‘algoritmi’ studiati per supportare chi è più fragile forse perdiamo il nesso che spesso la fragilità ha bisogno anche solo di essere ascoltata.

Sebbene l’intelligenza artificiale abbia fatto passi da gigante, dobbiamo essere cauti nel sostituire le vere connessioni umane con interazioni digitali. L’uso dell’IA come strumento terapeutico o sentimentale potrebbe rappresentare un’illusione di comprensione e supporto, senza però offrire il calore, l’empatia e la connessione autentica di una relazione umana.

La tecnologia avanza a un ritmo sorprendente, dobbiamo ricordarci di valutare criticamente l’uso dell’IA, soprattutto quando si tratta di questioni del cuore e della mente.

Il problema, forse, è che è l’umanità a indietreggiare ad un ritmo altrettanto sorprendente. 

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