Per il franchising è il momento di agire. Il nuovo Rapporto Strategico della Community Retail 5.0, presentato da The European House – Ambrosetti, fotografa un settore che vale il 15% del PIL italiano e dà lavoro a 1,5 milioni di persone. Ma mentre il retail specializzato cresce, emergono due urgenze: trovare competenze e colmare il ritardo digitale.
Dal piccolo negozio di quartiere alle grandi catene in franchising, il retail specializzato rappresenta oggi uno dei pilastri più solidi dell’economia italiana. Secondo il 5° Rapporto Strategico della Community Retail 5.0, elaborato da The European House – Ambrosetti (TEHA), nel 2024 il comparto ha generato 435 miliardi di euro di fatturato, in crescita del 4% rispetto all’anno precedente, sostenendo un valore aggiunto complessivo di 295 miliardi, pari al 15% del PIL nazionale.
Con 1,5 milioni di occupati, il retail si conferma il primo datore di lavoro privato in Italia, mentre la filiera estesa – che include servizi, logistica e manifattura collegata – raggiunge un impatto economico paragonabile al PIL della Danimarca. «Senza la rete di imprese, punti vendita e servizi del Retail Specializzato, una parte rilevante della ricchezza prodotta in Italia non potrebbe essere generata», ha spiegato Benedetta Brioschi, partner TEHA e responsabile Food & Retail.
Nonostante il retail specializzato sia il primo settore per investimenti privati – con 17,4 miliardi di euro nel 2024, pari all’11,5% del totale nazionale – la digitalizzazione procede a passo lento. Solo il 4,3% dei retailer italiani raggiunge un livello di “intensità digitale molto alto”, contro il 9,8% della Spagna e il 7,6% della Germania. L’intelligenza artificiale viene applicata soprattutto a marketing e vendite (65,1%) e logistica (30,6%), ma resta marginale nei processi produttivi, nella ricerca e nella sicurezza informatica.

Dietro questi numeri record emerge un paradosso: il settore continua a essere percepito come “minore”, pur sostenendo la competitività, la coesione territoriale e la crescita occupazionale. Ed è proprio da qui che parte l’appello di Retail 5.0: costruire una strategia nazionale per il retail, riconoscendolo come una vera infrastruttura sociale del Paese.
Formazione, welfare ed equità
Oltre ai dati economici, il Rapporto accende i riflettori sulla crisi della forza lavoro: nei prossimi tre anni il comparto prevede oltre 270mila assunzioni, ma l’86% dei retailer segnala difficoltà nel reperire personale con competenze adeguate. Orari percepiti come impegnativi, welfare insufficiente e percorsi formativi poco strutturati sono le principali cause.
Per invertire la rotta, la Community Retail 5.0 ha elaborato un “Manifesto del Lavoro” fondato su tre pilastri:
Formazione, per trasformare i punti vendita in vere “scuole di mestiere” e combattere la dispersione scolastica di oltre 400mila giovani italiani;
Welfare, con proposte di defiscalizzazione per le ore straordinarie e misure di sostegno alla genitorialità e al benessere psicologico;
Equità, per ridurre il divario di genere nelle posizioni apicali, dove gli uomini guadagnano in media 4,4 euro in più l’ora rispetto alle colleghe.
Franchising, un modo nuovo di pensare il lavoro
Per il mondo del franchising, questi temi non sono teorici ma quotidiani: dalle academy interne alla formazione dei nuovi affiliati, dai benefit condivisi alla leadership inclusiva nei punti vendita, le reti sono chiamate a fare da laboratorio di innovazione sociale e occupazionale.
Il messaggio che emerge dal Forum è unanime: il retail del futuro si costruisce a partire dalle persone.
Nel mondo delle reti in franchising, dove la cultura aziendale si moltiplica punto vendita dopo punto vendita, questa visione può diventare la chiave per unire crescita economica e impatto umano: Retail 5.0 non è solo un modello di business, ma un modo nuovo di pensare il lavoro.
Per il settore questo significa una sfida e un’opportunità: integrare l’AI non per sostituire i dipendenti, ma per migliorare il servizio, ottimizzare i turni e personalizzare l’esperienza in negozio. «Il cliente ha bisogno di socialità, ma non vuole più un servizio standard: vuole sentirsi capito, non solo servito», ha spiegato Corrado Cagnola, AD di KFC Italia.
Un concetto ripreso anche da Paola Accornero, direttrice HR di Coin: «Non servono più manager che comandano, ma leader che ascoltano e trattengono i talenti, anche gli over 50 con competenze da condividere». Perché – come spiegano gli autori del rapporto – il valore non nasce dall’avere più dati, ma dal saperli leggere e trasformare in scelte.
In un mercato dove trovare profili qualificati è sempre più difficile, le catene più solide stanno investendo in academy interne, programmi di upskilling per gli affiliati e piattaforme digitali condivise per migliorare l’esperienza del cliente. Il franchising può diventare il modello ideale di integrazione tra competenze umane e strumenti tecnologici, capace di diffondere innovazione dal centro alle periferie.
Anche sul fronte del welfare, molte reti stanno sperimentando formule flessibili per conciliare produttività e qualità della vita: turni personalizzati, incentivi sulle performance di squadra, benefit legati al benessere. Sono segnali di un cambio culturale: perché se il retail è una delle infrastrutture sociali del Paese, il franchising ne è la rete capillare, fatta di imprenditori che ogni giorno tengono vive le città e costruiscono relazioni di fiducia.

Per questo serve una visione condivisa tra istituzioni, imprese e persone. In un’epoca di intelligenze artificiali e consumi mutevoli, il valore più grande resta quello umano: la capacità di creare esperienze autentiche, di innovare senza perdere empatia, di crescere insieme, come suggerisce il titolo stesso della Community “Retail 5.0“, nata nel 2021 per rilanciare il settore del retail specializzato in Italia. Retail 5.0, dunque, non come traguardo, ma come direzione. E il franchising, se saprà interpretarla, può essere il suo motore più dinamico.