Primatista mondiale di dislivello in salita, Andrea Daprai ha realizzato imprese straordinarie. Con fatica, sudore, ma anche preparazione dell’evento e caccia agli sponsor. «Pratico sport poverissimi, dove è l’uomo che fa tutto. Così ho imparato a catturare l’interesse dei media»
Un’impresa. Un altro record. La storia di Andrea Daprai, 34 anni, atleta no limits, è fatta di sfide continue. Ideate, pianificate, portate a termine con determinazione. I suoi segreti: affrontare la fatica. E vincerla con la volontà e l’allenamento. Grazie all’ultima performance, a fine luglio 2009, Daprai è primatista mondiale di dislivello in salita in 24 ore. Significa che per 25 volte, di giorno e di notte, Andrea ha risalito la Pista Paradiso, al Passo del Tonale. 17.675 metri coperti in 23 ore, 33 minuti e 11 secondi. «La tecnica è importante. Ma è la testa a collegare il cervello ai piedi» confida lui. Ed è la testa che gli fa sconfiggere la paura, la grande nemica, quella che s’insinua quando la stanchezza abbassa le difese. Quest’impresa è stata dura. Le basse temperature hanno messo a dura prova il suo fisico. Terreno scivoloso, gelo, una contrattura alla coscia, durante la notte. Dopo ogni salita, s’infilava nel vagoncino della cabinovia e discendeva, per sette minuti, prima di ricominciare a salire. Salita dopo salita, metro dopo metro. Per superare il record di Adriano Greco, campione di scialpinismo, fissato nel 2001. E ce l’ha fatta. Alla fine, c’erano centinaia di persone ad applaudirlo. Andrea Daprai sente di avere dato tanto, in quest’ultima prova.
Perché s’impegna in sfide estreme?
«Per due motivi. Il primo è superare un record, un risultato che qualcun altro ha ottenuto. Il secondo è raggiungere un obiettivo che mi sono messo in testa. Ma, lo ammetto, il mio ultimo record è stato solo fatica. Ne ho sentito il gusto, quando tutto è finito. E non era un buon sapore».
Perché?
«È stata un’impresa fisica e mentale fuori dal normale. Quando rifai lo stesso percorso 25 volte, la ripetitività ti ammazza. E il freddo. La temperatura di notte è calata fino a tre gradi sotto lo zero, più del previsto. Avevo problemi con lo stomaco, non potevo né bere né mangiare, da un certo punto in poi. Per quattro giorni, dopo l’arrivo, facevo persino fatica a parlare. E ho seriamente pensato: “Vale la pena ammazzarsi di fatica?”. Poi prevale la passione. Non mi fermo qui. Ho progetti importanti. Una montagna da affrontare in Argentina, 7.000 metri, in bici e a piedi».
Quanto tempo ci vuole per preparare un’impresa?
«L’impresa sulla pista Paradiso è frutto di un allenamento di anni. Sei mesi, specifici, lo scorso inverno, poi una ripresa con altri ritmi».
Rischierà, per un nuovo record?
«Prima o poi, se rischi troppo, perdi la vita. Oggi mi sono calmato. Ho una fidanzata. Quando avrò dei figli, di rischi non ne correrò più. Quando qualcuno ci lascia le penne, c’è chi mette all’indice chi rischia, in montagna. L’incidente può accadere. Ma l’allenamento è fondamentale. E dall’analisi degli errori degli altri, pur nel dolore, si traggono insegnamenti per le proprie imprese».
Nella vita del campione, c’è anche l’incontro con qualcuno che crede e investe nel suo valore, nella sua determinazione…
«Per le discipline che pratico io, devi accendere l’interesse dei media. Sono sport poverissimi, dove è l’uomo che fa tutto. Non ci sono motori, non ci sono scommesse o budget milionari. Per questo mi occupo personalmente di noleggiare un elicottero per documentare al meglio ogni fase dell’impresa. Sull’elicottero salgono operatori Rai o Sky sport. O privati, che pago io. Nella mia ultima avventura, gli operatori hanno costruito un servizio dove la sfida sportiva si integrava con riprese sulla vallata e sull’ambiente circostante. La valenza di servizio ha permesso alla notizia e all’evento di avere uno spazio in televisione e trovare nuovi sponsor».
Quanto costano le sue imprese?
«Il record dell’Adamello è costato circa 50mila euro, esclusa l’alimentazione dell’impianto di risalita e il noleggio dell’elicottero. Un problema, sull’Adamello come in altre occasioni, è stata la ricerca della location e del sostegno economico. È stato difficilissimo trovare la pista giusta. E cercare uno sponsor».
Qual è stata la sua impresa più costosa?
«La Genova-Monte Bianco, nel gennaio 2009. Un dislivello di 4.840 metri, risalita in apnea, percorso a nuoto, in bici, di corsa. In sole 19 ore. Un budget di 150mila euro. Siamo partiti dal mare. Anzi, da 30 metri sotto la superficie. C’erano quattro persone in acqua, con telecamere fisse, per riprendere la partenza. Poi un’intero staff ha seguito tutto il percorso. Un elicottero ha ripreso, per otto ore, a un costo di 20 euro al minuto. Poi i vari permessi…».
Quale impresa invece le ha dato le emozioni più forti?
«Quella tra Milano e la cima del Cervino, nell’agosto del 2007. Ho percorso quella distanza in 11 ore e mezza. Ho iniziato come facevano gli alpinisti di un tempo, avvicinandomi alla montagna con una pedalata di 200 km, in sette ore. Poi ci sono state quattro ore e mezza di ascesa alla vetta, tra corsa e arrampicata. A metà strada mi sono quasi bloccato, a causa dei crampi. Ho dovuto stringere i denti. Mi sono rimesso in cammino. Mi ero prefissato di farcela in 12 ore. E invece ce ne ho messe 11 e mezza. Una sfida con me stesso, che ho vinto. Il Cervino è una montagna pericolosa. Ho affrontato alcuni passaggi libero, senza sicurezze. Mentre lo facevo, ero concentrato sull’obiettivo. Ma riguardando le riprese, ho visto quello che ho rischiato».
Che cosa cerca chi segue le sue sfide?
«Qualcuno mi invidia. Per molti sono uno stimolo. Soprattutto per chi capisce il gesto atletico, sportivi che non arrivano ai miei livelli, ma conoscono il valore di fatica e allenamento».
C’è chi critica quello che fa?
«Per alcuni i miei record non servono a niente. Non faccio male a nessuno. Non creo problemi ambientali, le imprese sono una mia libera scelta e di quelli che mi seguono. E, a me, sembrano meglio che correre dietro a un pallone per 90 minuti. Sono immerso nella natura e non è vero che correndo non vedo nulla. Tengo la testa bassa il giorno della gara, ma mi alleno in montagna per 300 giorni l’anno».
Che cosa pensa di chi ricorre al doping?
«Per stare a certi livelli in alcuni sport, certi atleti hanno poche alternative. Spesso sono decisioni di squadra. Non li stimo, ma non voglio giudicarli. I problemi sono i soldi che ti ritrovi sul contratto. Quelli servono. Quando correvo con gli sci da discesa, girava doping. Non ho mai avuto la tentazione di provare: mi ha sempre salvato la paura delle siringhe».
Che consigli darebbe a chi vuole affrontare una sua personale sfida?
«Non barare. Fa’ bene le cose non per gli altri, ma per te stesso. La vita non è solo sport. Studia. Mettici la testa. Ma sono volontà e disciplina che fanno ottenere i risultati».
INFO: www.andreadaprai.com
Identikit
La casa. Andrea Daprai è nato il 4 luglio 1975 a Cles (Tn). Vi abita tuttora ed è titolare di un bar. Ha un diploma in ragioneria.
Gli sport. Il padre lo mette sugli sci a tre anni. Ma va alla grande anche sulla bici. E sui piedi. Si arrampica, corre in montagna, anche in sky running (in quota, in cresta, senza corde). Nel 1996 diventa maestro di sci.
Lo sci alpino agonistico. Fino a 22 anni ha praticato sci alpino agonistico. Nel 2001 a Les Arcs, in Francia, ha toccato 208 km orari nella prova di chilometro lanciato con gli sci. Nel 2003 ha effettuato la salita in velocità della “Nord” della cima San Matteo, nel gruppo Ortles-Cevedale. Nell’aprile 2006 ha partecipato in Svizzera, alla traversata da Zermatt a Verbier, la gara più dura di scialpinismo mondiale.
Silvia Messa, Milllionaire 10/2010