Chi la dura la vince

Di
Redazione Millionaire
20 Agosto 2012

Arriva al cinema L’arte di vincere, una storia vera che ci insegna che per farcela contano più le idee dei soldi. Nello sport come nella vita. A patto di avere la giusta mentalità

«Forse non sembrate una squadra di vincenti, ma lo siete. Quindi giocate da vincenti

È l’esortazione che il general manager Billy Beane fa ai suoi giocatori, della squadra di baseball degli Oakland Athletics. Per vederlo al cinema, nell’interpretazione di Brad Pitt (si parla anche di una candidatura all’Oscar), serve ancora qualche settimana di pazienza. Nel frattempo, però, potete leggere la storia vera a cui il film si ispira, che Millionaire ha letto in anteprima.

Billy Beane è un tipo schivo, silenzioso, non particolarmente fortunato. Viene da una famiglia modesta e, grazie al suo talento sportivo, a 18 anni ha la possibilità di ottenere una borsa di studio a Stanford. Lui e la sua famiglia sono felici: un buon college è ciò che desiderano di più. Ma poco dopo arriva per Billy la proposta dei Mets di New York, che gli offrono 125mila dollari per giocare a baseball in squadra.

Dirà Beane: «Quella è stata l’unica scelta della mia vita che ho fatto per denaro». Andare al college era il suo grande sogno e non esserci riuscito rimarrà un grande rimpianto. Eppure, sarà anche grazie a questo che riuscirà, più avanti, nella sua “impresa”. La sua carriera è breve e si spezza per un infortunio a 27 anni. Agli inciampi professionali unisce quelli personali: il suo matrimonio finisce con un divorzio. Preso a calci dalla vita, Beane diventa il general manager degli Oakland Athletics, proprio la squadra in cui aveva chiuso la sua carriera di giocatore. Di sicuro non ha la mentalità da vincente, anzi. Non a caso, preferisce non vedere le partite della squadra allo stadio, con la convinzione di portarle sfortuna.

Eppure la squadra disputa un buon campionato e conquista un onorevole piazzamento. Peccato che, a fine stagione, il presidente decida di vendere i tre giocatori migliori per risollevare le sorti del bilancio in passivo.
Come spesso capita nello sport, e anche nella vita, esiste infatti una netta divisione tra chi ha tanti soldi e chi non ne ha. Gli Oakland Athletics sono una piccola squadra, con pochi fondi e di certo non possono competere con i budget stratosferici di altre squadre potenti come i New York Yankees o i Boston Red Sox. E, nonostante i buoni risultati, il suo monte stipendi è il più basso di tutta la Major League.

Rabbia e frustrazione si fanno largo in Beane, che sembra a un passo dal gettare la spugna. Ma il destino è in agguato e dietro l’angolo c’è l’incontro che gli cambierà la vita.

Nella realtà, conosce Paul DePodesta, un laureato di Harvard alto, magro e bello, che gli presenta un metodo statistico per scoprire talenti a poco prezzo. DePodesta ha preferito restare nell’ombra e ha negato il permesso di usare il suo nome. Così, nella fiction, il personaggio che dà la svolta alla storia si chiama Peter Brand ed è un giovane economista laureato e in sovrappeso.

La teoria della Sabermetrica: puntate su un team che lavora in armonia

La teoria rivoluzionaria è una pseudo-scienza chiamata Sabermetrica (dall’acronimo Sabr che sta per Society of American Baseball Research).
DePodesta spiega a Beane che non è premiante scegliere giocatori noti e strapagati (che peraltro la squadra non si può permettere). Molto meglio selezionare quelli che, statisticamente, hanno totalizzato i migliori punteggi.

«Lo scopo non deve essere comprare giocatori, ma vittorie. Ecco 25 giocatori sottovalutati da tutti. Un’isola dei giocattoli difettosi. Qui dentro c’è una squadra che ci possiamo permettere» afferma. A monte c’è un importante cambiamento di approccio: un team vincente non è quello che ha uno o più fuoriclasse, ma tanti buoni atleti che giocano in armonia.

La Sabermetrica affascinò subito Beane, che cominciò a consultare compulsivamente tutti i tabulati con le statistiche dei giocatori. A realizzarli per primo era stato un guardiano notturno del Kansas, Bill James, che negli anni 70 si autoproduceva ciclostilati sulle statistiche del baseball, mentre controllava i forni in una fabbrica di carne e fagioli in scatola. Dei suoi baseball abstracts, Beane conserva religiosamente le copie originali.
«Il problema che dobbiamo risolvere è che ci sono squadre ricche e squadre povere. Ci sono squadre con giocatori di merda. E poi ci siamo noi» fin qui, le cattive le notizie. Poi Beane prospetta la soluzione: «Qui siamo all’ombra della Silicon Valley. E di certo non è un caso se gli hippy, il Pc, Google, l’iPhone e la Sabermetrica nascono tutti nel nord della California».

E così Beane inventa il metodo Moneyball. A quel punto, la sfida è convincere il resto della squadra e in particolare l’allenatore Art Howe a pensare in modo diverso. E Billy Beane ha ragione a fidarsi della Sabermetrica e del Moneyball, cioè della relazione tra gioco e denaro. Grazie a giocatori semisconosciuti e sottovalutati spendendo un quinto delle altre squadre, gli Oakland Athletics vincono 20 partite consecutive, stabilendo un nuovo record e arrivando ai playoff (poi persi). La lunga striscia positiva vale a Beane l’opportunità di lavorare con i ricchi Boston Red Sox, con un’offerta che l’avrebbe reso il general manager più pagato della storia del baseball. Ma lui rinuncia e rimane per sette stagioni fedele agli Oakland, che fa giocare ad alto livello. Poi, dopo la pubblicazione del libro, anche altre squadre cominciano a usare lo stesso metodo scientifico. E la pacchia finisce.

la lezione di Moneyball per il business

1. Esci dalla strada battuta

Ogni settore ha ruoli e convenzioni che può valere la pena sfidare. Per trovare una strada alternativa ai big, occorre individuare il principale elemento di spreco che devono fronteggiare clienti e dipendenti. Chi mette a fuoco il problema e ha le informazioni mirate, può crearsi un vantaggio competitivo.

2. Informazioni, non dati

I dati sono spesso disponibili, l’importante è trasformarli in informazioni utili. A volte è più facile cercare ed elaborare nuovi dati, piuttosto che esaminare quelli di pubblico dominio. L’opportunità migliore per gli imprenditori è quella di ripartire da una lavagna bianca.

3. La laurea (a volte) non serve

Capita che le nozioni siano un limite. Chi non ha troppe sovrastrutture, invece, è più agile e pronto a imparare. Ha scritto Michael Lewis, autore del libro Moneyball: “La vita di Beane, le sue letture, la scoperta del sistema Moneyball, sono un tentativo di darsi quell’educazione universitaria che non aveva mai avuto. Così come Sergey Brin e Larry Page avevano creato Google in parte perché erano andati a Stanford, Beane creò Moneyball in parte perché non ci era andato”.

4. Meno soldi è meglio

A volte è la difficoltà che aguzza l’ingegno. Chi ha budget limitati si trova costretto a compensare con tempo, inventiva, prontezza. È per questo che sono spesso le aziende con capitali modesti a inventare nuovi approcci.

5. Pensa a correre, prima che a vincere

Difficile studiare un sistema che dia la certezza della vittoria, perché sono troppe le variabili in gioco. E infatti Beane aveva focalizzato il suo sistema su un altro elemento: la corsa. E le statistiche mostravano che, in genere, chi corre di più vince di più. Lo stesso vale in azienda: prima che ad avere successo, bisogna puntare a svolgere bene la propria attività.

«Non è difficile vincere, ma stare sulla vetta»

È vero che conta più partecipare che vincere?

Non proprio. Conosco persone che partecipano sempre e comunque: ma sono persone incerte, spesso volubili e anche poco determinate. Segno che non è questa la strada giusta. L’ambizione a oltranza non ha senso. Dobbiamo scegliere le gare a cui partecipare. Non possiamo sfuggire alle sfide della vita, ma solo concentrandoci su alcune massimizziamo le possibilità di uscirne vincitori.

Che cosa imparare dallo sport?

L’etica, in primo luogo. Non sono tanti coloro che accettano di buon grado la promozione del collega o la fortuna del vicino di casa. Invece nello sport è normale stringere la mano al vincitore.

Si può potenziare la propria attitudine alla vittoria?

Certo che sì! Molto dipende dall’atteggiamento mentale: che deve essere attento, analitico, progettuale e anche molto abile. Pochi sanno che il difficile non è vincere, ma restare in vetta.

Esiste la paura di vincere?

Purtroppo sì. La verifichiamo spesso: una prestazione splendida e poi, quando manca poco al trionfo, un crollo improvviso. Bastano poche incertezze, qualche esitazione e le occasioni sfumano. Molti imprenditori non sono stati solo geniali, ma anche saggi e capaci. Se manca autostima, determinazione, sicurezza in sé e magari si è contornati da persone altrettanto incerte, l’esito negativo è assicurato.

Ci si può allenare per vincere?

Sì. Il primo passo è analizzare a fondo le proprie doti. Poi bisogna informarsi, sapere, cercare, essere curiosi. Quindi si passa alla fase operativa, che sarebbe poi la gara. Ma, come insegnano gli sportivi, nessuno eccelle in tutte le discipline, perciò occorre concentrarsi su quello che piace e su ciò che rappresenta la realizzazione delle proprie attitudini.

Diceva Napoleone che il momento più difficile è la vittoria…

Napoleone, da buon condottiero, sapeva che dopo una sconfitta non si può che far meglio, ma dopo una vittoria ripetersi non è così facile. Un vincitore competente è colui che analizza il perché di un successo, ne archivia le modalità, ben sapendo però che la prossima gara (anche nella vita) non sarà esattamente la stessa. Accade di trovarsi di fronte una persona più brava, più predisposta: e la vittoria sfuma. Ma anche in questo caso bisogna risollevarsi.

Un modello a cui rifarsi?

Rocky Balboa. Anche se è solo il personaggio di un film ed è un po’ “datato”, incarna valori positivi. Nel quarto episodio della serie, il pugile affronta un campione russo così “perfetto” da sembrare creato in laboratorio. Rocky, che perfetto non è, si allena, soffre, affronta una sfida che sembra impossibile e alla fine, dopo 15 riprese, vince. Tutto simbolico, ma rimanda anche al rispetto che si deve sempre agli sconfitti e alla necessità di mantenere, anche nelle gare più dure, una propria etica.

Come reagire a una sconfitta?

Evitare sempre la rabbia postuma. Non colpevolizzare gli altri. Andate alla radice dei motivi della sconfitta. Ci dobbiamo chiedere se e che cosa avremmo potuto fare di più e meglio per raggiungere il nostro obiettivo.

INFO: Gabriele Traverso svolge attività clinica presso il Centro Medico Alassio Salute di Alassio (www.alassiosalute.it).

Lucia Ingrosso, Millionaire 1/2012

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