«Facevo il muratore, ho salvato la Triumph»

Di
Redazione Millionaire
8 Agosto 2012

Due guerre, un fallimento, un incendio, vari passaggi di proprietà. Eppure il piccolo marchio di motociclette inglesi, tanto amato dal cinema, è risorto dalle ceneri. Merito di un imprenditore visionario, John Bloor, e del suo duro lavoro

Un’azienda inglese di piccole dimensioni, se confrontata con i suoi maggiori concorrenti, ma di grandissima tradizione. Dal 1983 la Triumph è di proprietà di un’unica persona, John Bloor. Figlio di un minatore, ha lasciato la scuola a 15 anni per fare il muratore e a 20 già costruiva le prime case con la sua impresa edile. Nel 1983 era uno dei più grandi immobiliaristi inglesi. Oggi è l’artefice della rinascita della Triumph. Che di vicissitudini ne ha attraversate parecchie: guerre, passaggi di proprietà, fallimenti, incendi. Ma è sempre riuscita a risollevarsi e rinascere. Dopo un faticoso percorso di ricostruzione, dal 2003 al 2009 il fatturato è stato in ascesa. E nel 2009 le vendite di Triumph in Gran Bretagna hanno superato quelle della Kawasaki.

In principio era una bicicletta

Nata nel 1885 come fabbrica di biciclette da due uomini d’affari tedeschi stabilitisi a Coventry, la Triumph inizia a produrre le prime moto con l’avvento dei motori a combustione interna. Il primo modello, del 1902, è poco più che una bici. Con il passare degli anni le Triumph si conquistano la fama di moto di qualità. Quando scoppia la Prima guerra mondiale, il governo britannico decide di utilizzarle come portaordini. Con l’arrivo della Grande depressione, l’azienda è costretta a chiudere, e nel 1932 viene rilevata da un altro industriale di motociclette, Jack Sangster, che in pochi mesi riesce a ricostruirla. Nel 1937 lancia un modello destinato a rivoluzionare il mondo del motociclismo: la Speed Twin da 500cc, a motore bicilindrico.

Anni 40: stabilimento distrutto

Nel 1940 lo stabilimento di Coventry viene distrutto da un blitz tedesco, ma i lavoratori non si scoraggiano e in due anni riescono a ricostruire una nuova fabbrica a Meriden, nelle Midlands. Intanto gli Stati Uniti cominciano a manifestare interesse per le moto inglesi. Nasce così la mitica Thunderbird da 645cc, il primo bicilindrico 650 verticale. «La scelta strategica di Triumph in questi primi anni sta nel focalizzarsi su pochi modelli. Il suo motto è “evoluzione, non rivoluzione”» spiega l’ad Tue Mantoni.

Anni 50-60: la Triumph conquista il cinema e volano le vendite

Sono i decenni in cui il mercato delle moto è dominato dagli inglesi. Norton, Bsa, Triumph le aziende più importanti. Ed è proprio alla Bsa che la Triumph viene venduta agli inizi degli anni 50, anche se continuerà a essere amministrata separatamente. In questo periodo nasce la moto destinata a diventare un’icona: la Bonneville T120, una bicilindrica da 650cc.

Anni 70: iniziano i problemi, Triumph va in liquidazione e la fabbrica è cancellata

Con gli anni 70 iniziano i problemi. «La società non aveva investito abbastanza negli stabilimenti e nello sviluppo dei nuovi modelli» spiega Mantoni. «Questa situazione viene sfruttata dalle case motociclistiche giapponesi, che si stavano affacciando sul mercato con modelli più avanzati e più economici di quelli inglesi». Nel 1971 il gruppo Bsa registra una perdita di 8,5 milioni di sterline e due anni dopo il governo inglese interviene creando una società (la Norton-Villiers-Triumph), formata dai principali produttori di moto inglesi. Nel 1983, quando la Triumph va in liquidazione, la fabbrica di Meriden chiude ed è rasa al suolo.

Anni 80: John Bloor fiuta il business

È in questi anni che interviene John Bloor. Non aveva nessuna passione per le motociclette, ma aveva fiuto e senso degli affari. «Bloor decide di acquistare i terreni per costruire case» ci racconta un portavoce. «Ma qualcuno gli consiglia di far rivivere la Triumph, che rappresentava pur sempre un pezzo di storia inglese». Bloor si fa convincere, e investe 80 milioni di sterline per acquistare marchio, impianti e disegni. Ma il lavoro da fare è enorme. Molti dei disegni sono datati, lo stabilimento è da ricostruire. Bloor mette al lavoro i suoi ingegneri, che per anni lavorano nel più assoluto riserbo a una gamma di moto completamente nuova: a tre e quattro cilindri, raffreddati a liquido, con quattro valvole per cilindro e distribuzione a doppio albero. Intanto si lavora alla costruzione di un nuovo stabilimento, questa volta a Hinckley, nel Leicestershire.

1990: dopo anni di impegno, i primi risultati

Dopo anni di impegno, anche economico, non indifferente (in tutto Bloor ha investito nell’impresa circa 150 milioni di sterline) escono sei nuove moto, a tre e quattro cilindri: due Trident, 750 e 900, due Trophy 900 e 1200, e due Daytona 900 e 1000. Segneranno l’inizio di una nuova era. Ma sarà la Speed Triple, nel 1994, a sorprendere stampa e pubblico: una moto con una linea nuovissima, che ha rivoluzionato la categoria delle moto “nude” (cioè senza carenatura). Nel 1995 è la volta della Daytona T595.

Anni 2000: quando si intravede la fine del tunnel, un nuovo incendio

All’inizio del 2000 sono già 100mila le moto prodotte nello stabilimento di Hinckley. Le vendite sono in crescita, ma la risalita è faticosa. «È stato come scalare uno specchio, ogni errore significava cadere e risalire arricchito di una piccola esperienza in più» ha dichiarato Bloor. Ma proprio quando si comincia a vedere la fine del tunnel, il destino interviene nuovamente: il 15 marzo 2002 un incendio distrugge i magazzini, le linee dei telai e di assemblaggio dello stabilimento. «L’incendio ha causato un blocco della produzione di sei mesi» spiega il portavoce. «Un grande problema, dal quale è nata un’opportunità. La copertura assicurativa ha consentito di modernizzare gli impianti e costruire una linea di produzione completamente nuova. Oggi tutti le motociclette sono costruite sulla stessa linea, nello stesso momento. Gli operai ricevono un foglio di lavoro di colore diverso a seconda del modello e assemblano anche tre-quattro motori diversi».

2002: Triumph punta sul marketing e vince

«L’incendio del 2002 ha rappresentato l’occasione per pensare a un cambio strategico» afferma Mantoni. «Fino a quel momento Triumph era molto orientata alla progettazione e alla produzione, quello che mancava era l’attenzione al marketing e alle vendite. John Bloor si è rivolto alla società di consulenza McKinsey, ed è così che sono approdato in Triumph». Mantoni si rivela fondamentale per il futuro di Triumph.

La lezione

la rete commerciale è tutto

«La mia idea è che il successo di un’azienda dipenda dalla rete commerciale. In definitiva sono i clienti a determinare il fatturato e, se ricevono un servizio superiore sia prima che dopo la vendita, rimarranno fedeli al marchio e lo consiglieranno ad altri. Mi sono concentrato su questo aspetto, potenziando la quantità e la qualità dei concessionari in tutto il mondo» dice Mantoni, amministratore vulcanico e orientato al business. Fatto sta che ordini e fatturato dal 2003 a oggi sono stati in costante ascesa, e neanche le ultime vicissitudini di mercato li hanno scalfiti. Triumph nel 2009 ha visto salire la sua quota di mercato al 4,5% (dal 3,3% del 2008). In Gran Bretagna la crescita è stata addirittura del 26% (13% del mercato) tanto da contendere il terzo posto alla Yamaha (ai primi due posti Suzuki e Honda). «I nostri punti di forza? Un prodotto di qualità, i prezzi in una giusta fascia e la capacità di innovazione» conclude Mantoni. «Infine, essere posseduti da un unico proprietario ci consente di avere una visione di lungo periodo e non badare ai profitti immediati». INFO: www.triumph.co.uk

Tiziana Tripepi, Millionaire 5/2010

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