Gli impossibili

Di
Redazione Millionaire
7 Agosto 2012

Dopo la chiusura dell’azienda nel 2008, la Polaroid torna a far parlare di sé. Grazie a un gruppo di ex dipendenti che tenta un impossible project. Storia di un mito che rinasce

La loro sfida: riportare la mitica Polaroid in vita. Come? Rilevando un vecchio stabilimento nei Paesi Bassi per cercare di produrre nuove versioni della vecchia pellicola. Ma per far rivivere un mito, mettere in piedi un business e convincere tutti che l’immagine analogica può sopravvivere a quella digitale, stanno lavorando giorno e notte. Loro sono André Bosman, olandese 56enne ex responsabile tecnico Polaroid, e Florian Kaps, 40 anni, austriaco disegnatore di siti web e proprietario di una galleria in cui si espongono solo Polaroid d’autore (www.polanoir.com). Con Kaps e Bosman lavora un team di 13 tra ingegneri e chimici, tutti ex dipendenti di Polaroid, ribattezzati “gli impossibili”. Il loro progetto si chiama infatti The Impossible Project (www.theimpossibleproject.com) e prevede il lancio entro i primi mesi del 2010 di una nuova versione di carta Polaroid, adatta alle vecchie macchine ancora usate. La versione originale, in cui cristalli di iodiochinina solfato sono sottoposti a processi magnetici, è fuori produzione dal 2004 a causa dell’esaurimento dei componenti chimici, anche se tuttora si trovano in vendita i fondi di magazzino.

Intanto la Summit Global Group, un consorzio di tre società con capitali cinesi (ma la sede è negli Usa) che opera nel settore del digital imaging, resta licenziataria del marchio Polaroid.

«Stiamo creando un nuovo tipo di film che avrà alcune caratteristiche in comune con quelle precedenti, come la cornice, il formato e l’odore. In una prima fase produrremo solo in bianco e nero, proprio come è stato per la Polaroid nei suoi primi anni di attività, ma il colore sarà in commercio in pochi mesi» spiega Florian Kaps a Millionaire. Agli scettici che considerano il digitale ormai invincibile sul mercato, cosa risponde? «Credo che per avere successo nel mercato sia necessario avere coraggio: il coraggio di andare nella direzione opposta a quella degli altri. E dedicare il massimo della propria determinazione e passione in ciò che ci si prefigge».

E la sua storia dimostra la filosofia di vita di Kaps. Nel 2004 acquista su eBay un apparecchio Polaroid Sx-70. «Era cromata e rifinita in pelle marrone. Dopo averla tolta dal pacco iniziai a premere il pulsante. Era meraviglioso vedere l’istantanea che usciva e iniziava a svilupparsi» ricorda Kaps. Da lì, l’idea di vendere le pellicole sul Web: operazione poco “istantanea”, dato che l’azienda chiedeva un ordine minimo di 200mila euro. Ma per l’entusiasta Kaps già allora famiglia e amici si dimostrarono pronti all’aiuto, e in breve erano on line una vetrina virtuale di vendita (www.polapremium.com) e un sito per appassionati (www.polanoid.net).

Nel mondo, la foto istantanea aveva già perso punti nei confronti delle immagini digitali, più economiche, stampabili in casa con un semplice clic oppure in negozio dopo solo un’ora di attesa. E così l’azienda, sull’orlo della bancarotta nel 2001, era stata acquistata nel 2005 dal nuovo proprietario Thomas Petters. Però si era ritrovata nuovamente in cattive acque meno di un anno dopo. Intanto, nel 2004 nei magazzini c’erano 10 milioni di pellicole: un quantitativo che si stimava sufficiente per 10 anni. Ma nel 2008 le scorte erano già al lumicino, come testimoniato dal fatturato del sito di Kaps che smercia da un minimo di 30mila a un massimo di 50mila pellicole l’anno. Cosi alla notizia della chiusura definitiva dell’azienda, Kaps rimane sconcertato: perché chiudere un business ancora profittevole? È proprio alla festa di addio dell’ultimo stabilimento Polaroid, la fabbrica olandese di Enschede, in cui si dava inizio alla demolizione dei macchinari di produzione, Kaps conosce Bosman, il tecnico nominato per la supervisione dello smantellamento. Alcuni anni prima Bosman aveva già studiato un piano di sopravvivenza aziendale: 10 milioni di pellicole in produzione ogni anno (rispetto ai 100 degli anni d’oro) per 200 dipendenti (anziché i 5mila del passato): cifre piccole, seppure in guadagno, quindi poco interessanti per investitori senza passione. Tra l’austriaco e l’olandese è intesa a prima vista. Dopo un weekend di discussioni, sogni e conteggi i due decidono di tentare quella che per molti è un salvataggio senza speranza, unendo la conoscenza di mercato di Kaps con quella tecnologica di Bosman. Ha così inizio una corsa contro il tempo: per fermare la distruzione dei macchinari bisognava contattare l’azienda, trovare i fondi per acquistare le attrezzature, scegliere i collaboratori. Tra le fila degli ex dipendenti Bosman scova quelli disposti a rimettersi in gioco. «La nostra non è un’iniziativa in nome dell’arte» sottolinea Kaps «ma un vero e proprio business: saranno gli affari a salvare la pellicola analogica istantanea dall’estinzione. Perché oltre che dagli artisti, la Polaroid è amata anche da molti consumatori». Nelle potenzialità della nicchia ha creduto un investitore come Marwan Saba, consulente finanziario che tra amici ed estimatori ha racimolato 2,6 milioni di euro per acquistare i vecchi impianti di Enschede e affittare i 14mila mq di uffici per i prossimi 10 anni. «In circolazione esistono ancora circa 300 milioni di apparecchi Polaroid: e la maggior parte dei clienti del mio sito compra in media una decina di pellicole l’anno». Clic, il business è in sviluppo.

Nicchia forever

«Puntare su una nicchia di mercato può essere una strategia vincente» spiega Alberto Zevi, amministratore delegato Cfi (www.cfi.it), azienda che partecipa al rischio d’impresa di cooperative di produzione e lavoro. Un caso esemplare è quello dello stabilimento tipografico Pliniana, che a lungo si è limitato alla stampa in piombo. Spesso non è il prodotto che stabilisce la riuscita di un’azienda, ma un mix di considerazioni: la concorrenza, la rete vendita, la capacità imprenditoriale di chi rileva l’attività…».

La crisi? Una doccia fredda

A Foiano della Chiana (Ar), lo scorso aprile la metà degli impiegati di un’azienda costruttrice di box doccia in crisi di liquidità nonostante i due milioni di fatturato, ha rilevato il marchio (www.tabitaly.com). Investiti tra i 6mila e i 12mila euro a testa, i dipendenti sono riusciti a riconquistare credibilità dalle banche: tra i loro progetti per i prossimi mesi, il ricorso a 70 collaboratori in più.

Questione di pelle

Hanno scommesso sulla propria professionalità anche i dipendenti della pelletteria Marianelli di Fucecchio (Fi, www.marianelli.it) che lo scorso luglio, dopo aver appreso che i titolari volevano passare dalla cassa integrazione alla chiusura, hanno deciso di comprare la fabbrica e progettare l’aumento della produzione con l’acquisto di un nuovo capannone.

Oltre la cravatta

Hanno scelto la struttura della cooperativa invece gli ex dipendenti della Lincra di Sant’Ilario (Re), produttrice di interni per cravatte che, dopo aver conquistato il 40% del mercato, nel 2008 ha visto il fallimento. Versando 11mila euro a testa e mettendo in gioco l’anticipo della mobilità, nel gennaio 2009 i dipendenti hanno dapprima affittato e poi acquistato l’azienda, ribattezzandola Art Lining (tel. 0522 679117) e ricorrendo a un consulente esterno per la riorganizzazione della produzione.

Maria Spezia Millionaire 02/2010

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