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Paolo Bergamo, Senior Vice President e General Manager di Field Service Lightning in Salesforce

«Io, unico italiano nel team di Marc Benioff: ignorate il rumore intorno a voi»

Di
Redazione Millionaire
10 Gennaio 2020

«Ignorate il rumore che c’è intorno a voi, state concentrati sui vostri sogni». Paolo Bergamo, 45 anni e una carriera straordinaria in California. È l’unico italiano nella Benioff Strategy List, il team dei fidati consiglieri di Marc Benioff, fondatore di Salesforce, tra i leader in ascesa.

Paolo Bergamo lavora a Salesforce dal 2006. È entrato dopo che Benioff ha acquisito la sua startup, è stato scelto personalmente da Steve Jobs ed è la prova vivente di come l’Italia e i suoi talenti siano amati e stimati in tutto il mondo. Lo intervisto alle 7.45 di un giovedì in videoconferenza su Google Hangout. Tempo stabilito: 30 minuti. Sono passate due ore senza che né io né Paolo ci accorgessimo del tempo che passava e del registratore in modalità off. Ex ragazzino che girava sul furgoncino della Telecom (il padre lavorava alla Sip), Paolo è un ingegnere elettronico di Rovigo, laureato a Ferrara, con un dottorato in Ingegneria delle informazioni e un odio viscerale per i cavi. «Sono stati da sempre la mia aberrazione. Così quando ho scelto cosa studiare, ho optato per la comunicazione wireless».

Come sei arrivato in California?

«L’occasione mi è capitata addosso nel 2002. Durante una conferenza all’Università di Bologna, ho avuto la fortuna di conoscere Leonard Kleinrock, il padre di Internet. È l’uomo che ha letteralmente inventato la Rete, quando si chiamava Arpanet, e costruito i primi nodi. Stava studiando le reti distribuite wireless: era ciò che stavo facendo io. Con un inglese penoso, gli ho buttato la mia tesi in mano. “Le interessa?”. La sua risposta ha cambiato per sempre la mia vita…».

Cosa disse?

«”Ho un po’ di fondi, se vuoi venire a Los Angeles a lavorare con me mi trovi al campus dell’Università della California di Los Angeles (Ucla)”. Non avevo mai preso un aereo in vita mia, eppure sono partito immediatamente e mi sono ritrovato in un campus strepitoso, con un sacco di energia. Tutti i dipartimenti sono vicini, tutti collaborano, la gente vive nel campus, si lavora anche il sabato sera. Al fianco di quest’uomo ho cambiato completamente il mio modo di pensare, ma dopo due anni alla Ucla ho capito che la ricerca mi stava stretta. Volevo costruire prodotti. In università ho incontrato i miei futuri soci, che mi dissero: “Tu che conosci la tecnologia, vorremmo mettere l’applicativo della forza vendite sul cellulare”».

Come si fa carriera in un’azienda con 45mila dipendenti?

«Quando sono entrato eravamo in 700. Ho seguito tre strategie. 1. Mi sono sempre buttato in progetti colossali, senza però mettermi in mostra. 2. Ho sempre ignorato il rumore che c’era intorno a me. 3. Concentrandomi su quello che volevo fare. In Salesforce c’è una grandissima attenzione al cliente, una passione per le cose fatte bene e molta meritocrazia. Secondo uno studio di LinkedIn, l’esperto Salesforce è la seconda figura professionale più ricercata in Italia negli ultimi quattro anni. Chiunque può diventare un esperto, anche senza studi in Ingegneria o Computer Science, grazie alla nostra piattaforma gratuita di e-learning Trailhead (https://trailhead.salesforce.com), che offre percorsi di formazione personalizzati».

© Photo by Jakub Mosur Photography – © Salesforce

Nel 2008, sei stato scelto personalmente da Steve Jobs per il lancio di Apple store. Come è successo?

«Ero in Salesforce e sul vecchio telefono dell’ufficio è arrivata una chiamata. Guardo sul display e vedo il prefisso 418, che è il prefisso di Cupertino. Scherzando, dico: mi sta chiamando Steve Jobs. Ho risposto ed era proprio la Apple. Mi dissero: vuoi venire domani per conoscere una grande opportunità? Ho risposto sì, senza nemmeno pensarci. Arrivato a Cupertino, mi hanno spiegato di che cosa si trattava: creare quello che oggi è l’Apple Store. Avevamo già realizzato l’applicativo business per BlackBerry, che Steve reputava essere il migliore in circolazione. Ci chiese di fare la stessa cosa per iPhone. È stata quella la prima App in assoluto per il lancio dell’Apple Store».

Che tipo era Jobs?

«Era un uomo con un’intelligenza straordinaria e un’incredibile attenzione per la qualità e i dettagli. Aveva reazioni viscerali perché non tollerava la mediocrità. Una volta, mosso dall’emozione di poter collaborare con lui, gli ho presentato i primi sviluppi dell’App: il progetto era ancora in fase embrionale. Non dimenticherò mai la “strigliata” che ho ricevuto perché il lavoro non era ancora perfetto. E in quei giorni ho imparato un’altra lezione: sono un ingegnere molto pignolo, credevo che la pignoleria fosse un difetto. Steve Jobs mi ha insegnato che era un punto di forza».

Differenze tra Steve e Marc?

«Entrambi persone geniali. Steve forse più focalizzato sul prodotto, sui suoi sviluppi, le possibili applicazioni e capacità di fare marketing: più aziendale. Marc ha invece una visione più olistica: parte dall’azienda e si estende alle società».

Cosa si impara lavorando al fianco di un vero leader?

«Benioff mi ha insegnato a guardare ai problemi come un’opportunità. Ti racconto un aneddoto. Anni fa, Salesforce era un piccolo sassolino nella scarpa di Oracle. Avevamo pagato per esser presenti alla loro conferenza annuale. Stavamo preparando il discorso di Benioff da oltre due settimane. Mancavano 19 ore alla conferenza, eravamo tutti riuniti intorno a un tavolo, quando Marc riceve una email, la legge e ci dice: “Wow. Ho ricevuto la più bella notizia nella storia di Salesforce”. Ce la gira e il testo diceva: “Caro Marc, il tuo speech di domani è stato annullato”. Dov’era la bella notizia? C’era. Per Benioff era l’occasione di fare una contro-conferenza, di farla nella location di fronte a quella di Oracle, di creare su Twitter un’operazione mediatica, spiegando al mondo perché Oracle ci imbavagliava. Risultato: un grande successo».

Mark Benioff Salesforce
© Photo by Jakub Mosur Photography – © Salesforce

Come si gestisce un team di lavoro?

«Bisogna essere una fonte d’ispirazione, avere idee chiare e una visione di ampio respiro, piuttosto che fare un maniacale controllo sui dettagli. Poi c’è un’altra cosa bellissima che Benioff ti insegna ogni giorno: ed è quella di massimizzare gli impegni della vita, senza mai considerarla a compartimenti stagni. Il lavoro, gli affetti, lo sport, il volontariato: prima li vivevo tutti separatamente, oggi vivo una vita integrata. Per cui il mio 1% del tempo lavorativo che dedico al volontariato, lo faccio mettendo a disposizione le mie competenze».

Che cosa fai esattamente?

«Ho scelto l’iniziativa benefica lanciata da Massimo Bottura, “Refettori”, che punta a ridurre gli sprechi alimentari e dare risposte alle fasce più deboli. Stiamo mettendo a disposizione della sua Fondazione software e competenze per automatizzare più possibile i processi di raccolta e consegna dei pasti».

Come si crea una cultura aziendale unica?

«Trasparenza, altruismo, collaborazione e comunicazione e l’esempio dei leader. Alcune aziende americane lo fanno bene».

Com’è la Silicon Valley ora?

«Sta attraversando un periodo straordinario. Ci sono Ipo ogni giorno. Girano tanti soldi. Ma accanto a persone milionarie si vede una povertà estrema. La tecnologia ha creato innovazione, ma anche problemi che bisogna risolvere. Benioff stesso ha detto al Governo: risolviamo il problema degli homeless a San Francisco. Facciamo una legge per cui le aziende che guadagnano di più, versino più tasse e aiutiamo i senzatetto. Fiducia, innovazione e uguaglianza devono essere presenti nelle aziende e nella società. È la più grande lezione di Marc».

Tratto da Millionaire di novembre 2019. Leggi la storia di Marc Benioff qui

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L’apertura dell’articolo pubblicato su Millionaire di novembre 2019
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