Sognatore, pittore di stelle, artista eclettico. Con un progetto ambizioso: costruire in Egitto una piramide di luce da affiancare a quelle dei faraoni. Per un messaggio di pace. Millionaire ha incontrato Ottavio Fabbri
«Visionario convinto, è uno di quegli uomini che sognano in grande, e che i propri sogni riescono a realizzarli». Così è stato definito Ottavio Fabbri, figlio dell’editore Dino Fabbri, pittore e artista a 360 gradi, sulla rivista Architectural Digest. Di recente si è parlato molto di lui per la sua intenzione di costruire una quarta piramide nella valle di Giza, al Cairo. È un progetto solido e fondato, in cui nulla è lasciato al caso. La quarta piramide, che contribuirà a completare la sequenza delle stelle di Orione, sarà tutta di luce. Un simbolo di pace. Un progetto faraonico ma anche ecocompatibile: a garantire l’illuminazione di notte ci sarà l’energia solare immagazzinata durante il giorno. «La collocazione sarà in Egitto, a Giza. Qui le tre piramidi di Cheope, Chefren e Micerino sono posizionate in modo da replicare la posizione di tre stelle della Costellazione di Orione» ha spiegato Fabbri a Millionaire. «L’obiettivo è di completare il quadro. Così ho pensato la mia piramide in due possibili posizioni alternative, a replicare quella delle due stelle più esterne alla costellazione. Sarà un monumento immateriale e simbolico, fatto di luce: 460 fari da 2.000 watt, visibile anche a grandissima distanza. Il governo egiziano è molto interessato e, salvo imprevisti, questa grande installazione si farà».
Ma c’è di più: dalla tenda di luce per Gheddafi agli obelischi di Monte Carlo…
«Sono convinto che tutto ciò che è orientato verso la pace vada illuminato. Il mio obiettivo è dare luminosità e visibilità a eventi e monumenti. La Tenda di luce di Gheddafi è prevista per il decimo anniversario dell’Unione africana. Ad Alberto di Monaco, mio amico da sempre, ho invece proposto due obelischi di luce da posizionare ai due capi del Golfo di Monte Carlo, per rendere questo luogo ancora più magico e unico».
Lei è anche un grande pittore di stelle. Quando è nata questa passione?
«È stata molto precoce. Dopo “mamma” e “papà” la prima parola che ho pronunciato è stata “telescopio”. E poi, già a quattro anni, avevo l’“occhio assoluto” (l’equivalente dell’orecchio assoluto dei direttori d’orchestra), cioè riconoscevo con sicurezza l’autore dei dipinti che vedevo. L’Europeo (storico settimanale pubblicato fra 1945 e 1995, ndr) mi definì il “Mozart dei quadri”, proprio perché distinguevo un originale da una copia. Ho iniziato a dipingere a metà degli anni Ottanta. Le mie stelle rispecchiano la mia ansia di infinito. E il mio desiderio di avvicinarmi agli altri: le stelle le vediamo tutti, perciò fanno parte della cultura di ogni popolo. Fanno sognare gli innamorati e tranquillizzano i bambini. A oggi, mi hanno dedicato una ventina di mostre personali. Opere mie sono presenti in collezioni importanti, così come al Ludwig Museum di Colonia. Dipingo sulle classiche tele, ma anche sul velluto».
Lei si definisce homo cosmicus, perché?
«Tutti conosciamo il nostro indirizzo fisico, sulla Terra. Ma non siamo consapevoli di vivere in un ambito più ampio. Io mi sento testimone di un sentimento di appartenenza e di una cultura più universale. Secondo me, questa consapevolezza aiuta ad avere più rispetto delle altre culture e anche delle altre civiltà, se è vero (come penso) che esistano. Mia figlia dice che vengo da un’altra costellazione e ha ragione. Io sento di venire da Orione e di raccontare cose che ho già visto. Ho sintetizzato questa visione proprio nel mio autoritratto Homo Cosmicus del 1997».
Ma questo “rapporto privilegiato con le stelle” l’aiuta anche a vivere meglio?
«Credo che dipingere le stelle rallenti il metabolismo. Io mi sento e dimostro molto meno anni di quelli che ho. Posso camminare per ore senza stancarmi. In un istituto medico sono oggetto di studio. I medici invecchiano, io no. Mi aiuta a stare bene anche vivere in costante movimento, stare in tutti i luoghi dove abbondano palme e cieli stellati: Roma, Emirati Arabi, Costa Azzurra».
E il cinema?
«è stato il mio primo amore, appena finita l’università. Ho fatto l’assistente volontario di grandi registi: Luchino Visconti prima e Michelangelo Antonioni poi. Quindi sono diventato regista a mia volta, spaziando dai film ai documentari. Mi sono sempre considerato uno spirito eclettico. Ho diretto Massimo Boldi in Movie Rush (1976), così come Dalla e De Gregori in Banana Republic, il video della loro storica tournée (1979). Ho fatto poi una serie di documentari a carattere sociale, su persone che vivevano per strada, nei cartoni. Già da allora, avevo il desiderio di far parlare chi di solito non veniva ascoltato. Di portare la luce dove c’era l’ombra. L’ultimo film, Viaggio d’amore con Omar Sharif, Lea Massari e la sceneggiatura di Tonino Guerra, l’ho diretto nel 1990».
Lei è anche musicista e gallerista (ha due gallerie, a Milano e Monte Carlo). Come conciliare tutte queste attività?
«Ho bisogno di dormire pochissimo e questo mi consente di vivere il doppio. Di notte dipingo le mie amate stelle e porto avanti i miei progetti. Di giorno, faccio tutto il resto. Ho anche la fortuna di saper comunicare le mie idee, di entusiasmare gli altri. Mi dicono che sono un polo di energia (confermo, ndr)».
Come si diventa “poli di energia”?
«Avendo una passione. Qualsiasi passione – per una persona, un’arte, uno sport – aiuta a rigenerarci ogni giorno. Ed è un nutrimento di felicità. Poi bisogna impegnarsi in tutto, anche nel divertimento. E percorrere con fiducia tutte le strade che si aprono. Alimentandosi della propria energia. E non sottovalutando mai la propria anima, pena il rischio che ci prenda alle spalle. E poi, naturalmente, conoscere e rispettare gli altri».
Lei ha dei maestri?
«Sì, perché, come diceva Fellini, “Bisogna fare come le galline: beccare un po’ qua e un po’ là”. Io ascolto tutti e poi trattengo per me quello che ritengo più interessante. Madre Teresa diceva: “Non giudicare gli altri, se no non hai il tempo di amarli”. Il regista Roberto Rossellini sosteneva: “Devi capire bene quali sono le tue coordinate spazio-temporali: dove vivi e quando vivi. Quindi lasciare un segno del tuo passaggio”».
INFO: www.ottaviofabbri.com
Identikit
Ottavio Fabbri è regista, pittore, gallerista, musicista, disegnatore di abiti e di traiettorie magiche. Il padre Dino era editore (uno dei tre fratelli della Fratelli Fabbri Editori, casa editrice fondata nel 1947). La madre, Pierina Tassis, veniva dalla famiglia che aveva fondato le Poste ed era pittrice e gallerista.
Un’infanzia speciale. «Quando mio padre diceva “Sabato usciamo con Raffaello” io credevo che ci saremmo incontrati davvero, mentre lui si riferiva alle uscite in edicola (I maestri del colore, pubblicazione a fascicoli di grande successo, ndr). Ma poi pittori come Dalì e Picasso o poeti come Ungaretti e Montale li incontravo davvero: erano habitué in casa. Ho avuto la fortuna di crescere in un’atmosfera straordinaria, unica dal punto di vista artistico e culturale» racconta Fabbri.
Gli studi. Fabbri ha fatto studi classici e si è laureato in Scienze politiche.
Lucia Ingrosso, Millionaire 7-8/2009