Mauro Corona: «La vita è troppo breve per non fare quello che ci piace»

Di
Redazione Millionaire
24 Gennaio 2017

Sfida le pareti di roccia e le convenzioni. Coltiva la terra, è scultore. Scrive libri da migliaia di copie. «Preferisco fare quello che amo che avere soldi»

«I giovani non sanno cosa gli piace. E questo perché la famiglia, e non la scuola, non è capace di intuire quali sono le tendenze dei figli». Scultore, alpinista e autore di best seller, Mauro Corona, 66 anni, ha parlato di futuro, lavoro e posto fisso durante la trasmissione di Rai3 Il Posto Giusto, lo scorso 22 gennaio.

«I genitori devono capire e agevolare, a costo di fallimento. Perché io preferisco fallire e fare una cosa che amo, che avere soldi. Diceva un vecchio samurai, 1716: “La vita è breve come un sogno e consumarla tutta a fare ciò che non piace è pura follia”»

Di seguito il video di Rai3.

https://www.facebook.com/IlpostogiustoRai3/videos/1174133289303115/

 

Ecco cosa aveva raccontato Mauro Corona alla giornalista Silvia Messa in un’intervista a Millionaire.

In uno dei suoi libri descrive un mondo storto. Disuguaglianze, sprechi, falsi miti di ricchezza e potere: è così anche la realtà?

«Non c’è più la naturalità. C’è la recita, il surplus di tutto. C’è chi non ha un pezzo di pane e chi sfoggia il Cartier. La gente vuole possedere. Ma quelli con il Cartier saranno i primi a morire, quando l’oro non servirà più per comprare risorse, il petrolio per muoversi e riscaldarsi, il cibo, le medicine… Oggi c’è una grande cattiveria. Anche in chi ci governa o amministra la cosa pubblica. Il superfluo rende cattivi, superbi. La gente non ha fame davvero. Cerca i posti dove mangiare bene, ma solo per gola, non per necessità. C’è troppo in mano a pochi. E chi non ha niente si incattivisce. La gente si ammazza per un parcheggio. I poveri nutrono sentimenti di invidia, voglia di vendetta, astio. Finiscono per identificare la felicità con l’ottenere le stesse cose che si comprano i ricchi. Gli imperativi sono arrivare, primeggiare… C’è poi una grande mancanza di equilibrio e di giudizio, anche in chi non fa altro che criticare e non produce niente. C’è chi non sa far niente, per la troppa tecnologia. Ma chi mi fa pena veramente sono quelli che non hanno lavoro».

Che rapporto ha con la tecnologia?

«Non buono. Non la odio, ma non so usarla, anche se vorrei esserne capace. Scrivo a mano libri e articoli, i miei figli li battono al computer. Ma oggi tutto si fa con le macchine, anche i lavori in campagna. Sono un aiuto per la fatica, ma il prezzo è disimparare le basi della coltivazione. Io ho una motosega per le sculture più grandi e un cellulare. Però so usare le mani: so catturare il capriolo e gli uccelli con le trappole. Se il mondo storto crollasse di colpo, non morirei di fame».

La salvezza è il ritorno alla terra?

«Chi coltiva la terra mangia, beve, dorme e ha tempo libero per far l’amore, passeggiare, secondo ritmi più naturali. Di terra ce n’è. Dobbiamo liberarci dall’affanno del nostro modo di vivere».

Cos’è importante?

«Bisogna eliminare il superfluo: il capo firmato, la Porsche… Ci si veste con una maglietta da pochi euro, presa al mercato. E l’auto serve solo per portare da un punto all’altro più velocemente il nostro corpo miserabile. La vita, invece, è come scolpire: bisogna togliere per vedere quello che c’è sotto, la bellezza. Recuperare la semplicità dell’esistenza. A me bastano un pasto al giorno, un litro di vino, camminare, leggere, arrampicare. Un tempo, da giovane, ero competitivo nelle scalate. Ma quel tempo è passato. Ora le esigenze sono altre».

Cosa viene prima di tutto per lei?

«La salute dei miei quattro figli. Sono tutti laureati: Psicologia, Tecnologia delle comunicazioni, Filosofia, Accademia di Brera. Ma vivono tutti qui, in montagna. Non hanno esigenze particolari, smanie di carriera o di paghe favolose. Si accontentano di stipendi dignitosi, camminano nel bosco, preferiscono essere liberi, con semplicità. Un modo di vivere che gli ho comunicato io. I bambini andrebbero sottratti ai genitori da piccoli, prima che li rovinino. Non possiamo lamentarci di avere figli teppisti, intolleranti, violenti. Loro sono come noi li abbiamo cresciuti. Si insegna con il proprio comportamento, con la coerenza».

Lei vive da sempre in montagna: ha mai desiderato cambiare i suoi orizzonti?

«No. E dove? Non ho bisogno di soldi. Qui faccio il boscaiolo, scolpisco il legno. Intaglio la Pietà di Michelangelo, ma anche un bastone o uno gnomo da cinque euro. Non voglio passare alla storia, preferisco la geografia! Quello che ho guadagnato, anche con i libri, l’ho usato per far studiare i miei figli. E i soldi in più li regalo: ho amici in difficoltà, 50enni, senza lavoro. Loro ne hanno bisogno».

Che consiglio dare ai giovani che cercano la loro strada?

«Scegliete di fare quello che vi piace e vi gratifica. Non per i soldi. Oggi tutti vogliono diventare famosi. E la tv propone modelli di “fighi”. Ma sono falsi, costruiti. Uno su centomila ce la fa. Bisogna essere naturali. Poi, se capita, il successo arriva».

Lei scrive libri, fa interviste in tv, le hanno proposto anche L’Isola dei famosi…

«Il successo è come un gufo. Di notte, ne senti il richiamo a mezzo metro. Se cerchi di avvicinarti, lui si allontana di un metro. Se ti siedi e accendi una sigaretta, viene lui a cercarti e magari ti si posa sulla spalla. A me è capitato così. Ho iniziato a leggere i miei racconti ai bambini, poi sono piaciuti, li hanno pubblicati. Adesso Il mondo storto ha venduto 100mila copie in una settimana. Se mi annoierò scrivendo, tornerò a fare il boscaiolo. Ora il successo lo cavalco, è vero. Sono andato in tv, che è il mezzo per indottrinare il mondo, per vendere più libri. Ma non l’ho fatto solo per quello. Ho cercato di dire quello in cui credo, quello che penso sia giusto: essere naturali, non desiderare cose da esibire, che alimentano i dissapori tra poveri e ricchi».

 

Sa di essere un modello per tanti giovani?

«L’ho capito. Cerco di non tradirli e deluderli. Per questo ho deciso di non partecipare all’Isola dei famosi. A qualcuno sarebbe piaciuto, a molti no».

Identikit

Mauro Corona, 66 anni, è nato a Piné (Tn) da due venditori ambulanti. Sopravvive a un’infanzia dura, crescendo a Erto, dove vive tuttora, tra boschi e scalate, il suo laboratorio di scultore, baite e osterie. Corona vive sempre in maglietta, anche d’inverno. Oggi ha moglie e quattro figli. A 13 anni, ha assistito alla tragedia del Vajont. Istruzione essenziale, mestieri pesanti: manovale, cavatore di pietre. Ma non ha mai trascurato le sue passioni: l’arrampicata sulla roccia e l’intaglio del legno. Scrive libri a mano.

Silvia Messa, Millionaire 12/2010

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