Ricordati di osare sempre

Di
Redazione Millionaire
26 Novembre 2012

Chi osa, parte da una situazione critica e rompe il ghiaccio. Ragiona con la propria testa. E non si arrende. La ricompensa? Strepitosa. Leggete le tre storie che abbiamo raccolto (e i consigli per imitarle)

Proporsi a un datore di lavoro prestigioso, creare un prodotto rivoluzionario, andare controcorrente in un momento di crisi. Le tre storie che stiamo per raccontarvi hanno un comune denominatore: i loro protagonisti si sono comportati in modo diverso da come la maggior parte delle persone avrebbe fatto nella loro stessa situazione. Hanno “osato”.

Risultato?

Strepitoso, in tutti e tre i casi. E mentre la rivista Forbes ci conferma che osare «è un concetto fondamentale per l’imprenditore» noi abbiamo chiesto alla psicologa Carlotta Rizzo, autrice del libro 101 modi per liberare il genio che è in te (Newton Compton, 9,90 euro) di commentare le nostre storie. «Chi osa parte spesso da una situazione di criticità, e si “dà un permesso” ad agire in un certo modo. È una persona che si sente degna di comportarsi così, ragiona con la propria testa e non si arrende, anche quando la resa sembrerebbe la soluzione più facile».

Tanti sono gli ostacoli che nella nostra vita quotidiana ci impediscono di osare: un ambiente sociale e professionale che non ci sostiene, persone che non credono in ciò che vorremmo fare o semplicemente alibi che noi stessi ci creiamo. Come fare a superare questi condizionamenti?

«Tutto sta nel “rompere il ghiaccio” e non demordere di fronte a inevitabili esperienze di insuccesso. La ricompensa sta in una maggiore fiducia nell’affrontare gli eventi della vita».

Manda una sola email al New York Times e ottiene un lavoro importante

Francesco Bongiorni, 27 anni, illustratore

Francesco Bongiorni, 27 anni di Garbagnate (Mi), fa l’illustratore. Tre anni fa, fresco di diploma all’Accademia di belle arti e di un corso di illustrazione allo Ied di Milano, era alla ricerca dei suoi primi lavori.

[blockquote align=”center” variation=”red”]Rompevo le scatole a tutti, dagli art director ai direttori di giornale italiani. Telefonavo, chiedevo appuntamenti, mandavo email con i miei disegni. In questo modo ho ottenuto i primi incarichi. Ma era dura, mi chiamavano una volta ogni tanto, per arrotondare facevo il decoratore. Poi un giorno ho pensato: perché non provare a scrivere un giornale straniero?

D’istinto ho mandato una mail al New York Times. Non sapevo neanche cosa stavo facendo, né credevo che mi avrebbero risposto. Era la mattina dell’1 maggio 2008, alle 18 sarei partito per una vacanza all’isola d’Elba con i miei amici. Tre ore prima di partire ho controllato la posta. Ho trovato la risposta del New York Times! Mi chiedevano se potevo illustrare un articolo sulle tensioni tra Cina e Russia entro mezzanotte (da loro, le sei del pomeriggio).

È stato uno shock, fino a quel momento avevo fatto pochissimi lavori. Ma non ci ho pensato più di mezzo secondo: ho rinunciato al viaggio e mi sono buttato a disegnare. Avevo pochissime ore di tempo. Vedevo la lancetta dell’orologio che scorreva, ero carico di tensione e adrenalina.

Non sapevo se ce l’avrei fatta, ma entro l’orario stabilito ho mandato i miei disegni. E poco dopo è arrivato l’ok dell’art director. È stata una gioia incredibile, il tutto è stato talmente veloce che solo in quel momento ho realizzato quello che avevo fatto. Il lavoro mi è stato pagato 500 dollari, ma la più grande soddisfazione è stata vedere il mio nome vicino all’illustrazione, anche sull’edizione online del giornale.

Ho osato e vinto. Osare ti permette di sognare e, se va bene, di raggiungere i tuoi obiettivi. Non so se quella email mi ha cambiato la vita, ma è stato un biglietto da visita incredibile per ottenere i lavori successivi. Mi piacciono le sfide, ho sempre cercato di puntare in alto. Il mio principio è: se butti un amo prenderai al massimo un pesce, se ne butti mille forse ne prenderai due, ma sarà sempre più di uno.

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INFO: www.francescobongiorni.com

Prova a trasformare il latte in tessuto. E ci riesce

Anke Domaske, 28 anni, inventrice tedesca

Per la rivista americana Time è una delle 50 migliori invenzioni del 2011. Per l’Associazione ricerca tessile tedesca potrebbe rivoluzionare l’industria dell’abbigliamento. Si chiama Qmilch (la parola deriva da Milch, che in tedesco significa latte, e Q come qualità) ed è una fibra derivata dal latte e realizzata interamente con ingredienti naturali.

A inventarla, una 28enne tedesca di nome Anke Domaske, che nella vita si è divisa tra gli studi di microbiologia e la passione per la moda. L’idea? «Il mio patrigno ha patito per le tremende irritazioni alla pelle, non volevo che altri attraversassero il suo calvario» spiega Anke a Millionaire. «Volevo creare una fibra che fosse completamente naturale e antiallergica».

Per due anni Anke si rinchiude in un laboratorio con un team di scienziati, sicura che sarebbe riuscita laddove altri nemmeno avrebbero iniziato. «Procedevamo per “tentativi ed errori”, ogni volta rimescolavamo gli ingredienti come in cucina, con un procedimento simile alla cottura in forno. La cosa più difficile era arrivare a una fibra senza usare sostanze chimiche» racconta. Alla fine la soluzione: il latte è prima ridotto in una polvere di proteine, poi bollito e pressato in fili che sono successivamente intrecciati per formare il tessuto. In pochi mesi l’invenzione fa il giro del mondo.

Ho già 90 clienti che hanno prenotato la mia fibra e non si tratta soltanto di aziende tessili, ma anche automobilistiche, che cercano nuovi materiali per i sedili delle auto, e medicali, interessate a materiali antiallergici per gli ospedali. Ora sto lavorando per avviare la produzione a livello industriale. Un consiglio? Non bisogna mai dire “non ce la posso fare”. Per ogni cosa una soluzione c’è, bisogna solo trovarla. Osare è fondamentale se vuoi raggiungere un obiettivo.

INFO: www.qmilk.eu

Si azzera lo stipendio, per non licenziare i suoi dipendenti (e vince)

Vincenzo Sgambetterra, 57 anni, imprenditore

Vincenzo Sgambetterra, 57 anni, titolare insieme a due soci della Laryo, una piccola azienda che vende macchine per il montaggio automatico di schede elettroniche con sede a Villasanta (Mb), si è trovato di fronte alla crisi nel settembre 2008. «Abbiamo avuto un crollo del fatturato del 64% in 18 mesi. I clienti non acquistavano più le nostre macchine, perché a loro volta non ricevevano ordinazioni» racconta Sgambetterra. «È stato come uno tsunami che ci ha investito all’improvviso. Ma abbiamo deciso di non mollare. Abbiamo osato, perché il nostro primo pensiero è stato che la crisi, così com’era arrivata, sarebbe finita. Non solo: la nostra azienda si sarebbe dovuta trovare pronta per operare al meglio quando tempi migliori sarebbero arrivati».

Così, mentre i concorrenti chiudevano o mettevano in cassa integrazione i propri dipendenti, la Laryo investiva: una nuova struttura (un capannone dove mostrare le ultime novità) e assunzione di due venditori esperti, in grado di far acquisire nuove rappresentanze di marchi di prestigio. E i soldi? «Io e miei due soci ci siamo azzerati lo stipendio, per non sottrarre liquidità all’azienda. E ci siamo autofinanziati per pagare le spese di viaggi per lavoro. Molti ci dicevano che eravamo dei pazzi. Invece le banche ci hanno dato fiducia. Hanno visto che avevamo un progetto e ci hanno creduto». Il risultato è nei numeri: nel 2010 la Laryo ha raddoppiato il fatturato, nel 2011 lo ha triplicato. E nel 2012 prevede di assumere altre tre persone.

Ciò che mi ha dato più soddisfazioni è il fatto che, dopo aver sentito parlare di me, un imprenditore di software che voleva trasferire la sua azienda all’estero, ha deciso di rimanere in Italia. Osare è meglio che autocommiserarsi.

INFO: www.laryo.it

«La vita premia sempre i coraggiosi»

L’idea vincente nasce da una situazione di crisi: se non si è spinti fuori dalla propria area di comfort è difficile che si osi un cambiamento. Vincenzo e i suoi soci avrebbero potuto mollare o, come spesso accade, spendere le proprie energie a litigare. Invece hanno risposto alla difficoltà facendo fronte comune, prendendo decisioni coraggiose, inventandosi una sicurezza che nemmeno loro possedevano fino in fondo. In queste situazioni, anticonformismo e autonomia di pensiero fanno miracoli. E così è stato. Spesso quella che viene chiamata “pazzia” è prontezza nell’accettare le sfide assumendosi le responsabilità.

Tiziana Tripepi

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