Sbagliando si crea

Di
Redazione Millionaire
25 Novembre 2012

L’idea di fare errori ci terrorizza. Eppure il successo spesso nasce da un fallimento. È la teoria di Tim Harford, economista britannico che Millionaire ha incontrato

È più efficace fare un errore, individuarlo e correggerlo velocemente, che cercare di evitarlo. Se si vuole competere in un’economia sempre più complessa, si devono necessariamente fare errori.

Questa in sintesi la teoria di Tim Harford, 38 anni, uno dei più celebri giornalisti economici del Regno Unito, editorialista del Financial Times e autore del libro Elogio dell’errore, in Italia dal 18 ottobre.

Gli errori sono addirittura da elogiare?

Chi fa tanti sbagli crea, innova, si adatta al cambiamento. È lo stesso principio della teoria evolutiva di Darwin: sopravvive chi riesce ad adattarsi. I fallimenti sono centrali al funzionamento del capitalismo. Negli Stati Uniti ogni anno sparisce il 10% delle aziende. Il mercato va avanti non nonostante questi fallimenti, ma grazie a essi.

Perché?

[blockquote align=”center” variation=”red”]Nel popolare libro di management In search of excellence che risale ormai a quasi 30 anni fa, Tom Peters e Robert Waterman produssero una lista di 43 aziende eccellenti, analizzandone tutti i settori aziendali: ricerca e sviluppo, struttura finanziaria, risorse umane, management. Questo libro era come una Bibbia del business. Soltanto tre anni dopo un terzo di queste aziende era in serie difficoltà finanziarie, molte di esse sull’orlo della bancarotta. E non si trattava di aziende qualunque, ma appunto “eccellenti”.

Questo esempio ci spiega come il fallimento sia endemico a un’economia di mercato. La crescita economica è un processo in cui le cattive idee vengono sostituite con le buone idee. E, per avere una buona idea, devi provarne tante cattive.[/blockquote]

 

La paura di sbagliare spesso ci blocca…

[blockquote align=”center” variation=”red”]Questo è un grande problema. Parte della difficoltà sta in una piccola anomalia nella psicologia umana, che gli economisti comportamentali chiamano “avversione all’errore”: è il timore di subire qualsiasi perdita, anche piccola. Può portare da una parte a prendere decisioni molto conservative, dall’altra anche all’azzardo più sfrenato, quando sei spinto a rischiare grosse perdite nella speranza di evitarne di piccole.

La soluzione sta nel pensare che anche se commettiamo un errore, impareremo sempre qualcosa. Quando programmiamo una nuova attività può servire domandarci: “Cosa stiamo cercando di imparare? Che cosa può essere cambiato velocemente se c’è un problema?” Così saremo preparati ad aggiustare velocemente il tiro e ci preoccuperemo meno del fallimento.[/blockquote]

Come prendere la decisione giusta?

[blockquote align=”center” variation=”red”]Può essere di grande aiuto chiedere consiglio a più di una persona e confrontare i pareri. Spesso le decisioni giuste non arrivano da formule preconfezionate o pianificate dall’alto, ma sono frutto di un processo creativo, che parte dal basso. Google chiede ai suoi ingegneri di passare un giorno alla settimana a lavorare su qualsiasi progetto venga loro in mente. Poi butta continuamente via nuove idee, le modifica e rinnova quello che non funziona più.

Questo processo ha prodotto Gmail, Google maps, Google News… Non a caso Melissa Mayer, vice presidente di Google Search Products, ha dichiarato: “L’80% dei nostri prodotti finisce nella spazzatura”.[/blockquote]

Questo succede soprattutto in aziende tecnologiche?

No, non solo. L’organizzazione della più grande catena di supermercati organici del mondo, Whole Foods Market, ruota intorno a piccoli gruppi di dipendenti, ognuno dei quali sceglie quali prodotti offrire ai clienti e a che prezzo. Queste decisioni non sono sottoposte alla direzione centrale, ma si mettono alla prova su scala ridotta. Una formula vincente, perché l’azienda è in rapida crescita e compare costantemente nell’elenco di Fortune delle “100 migliori aziende per cui lavorare”.

Come trasformare un errore di oggi in una chance per domani?

[blockquote align=”center” variation=”red”]Talvolta è l’esperienza stessa ad aiutarci. Io e mia moglie, per esempio, ci siamo appena trasferiti con la nostra famiglia “crescente” in una nuova casa e in un’altra città, qui in Inghilterra. Quando l’abbiamo vista per la prima volta ci è sembrata bellissima, ma è bastato viverci pochi giorni per renderci conto dei problemi che aveva: tante scale, niente dispensa, lavatrice nel piano interrato e camere da letto al terzo e quarto piano, tanto che fare il bucato diventava un’attività di fitness.

Affittare una casa a Londra è un po’come buttare via un sacco di soldi, ma quell’esperienza ci ha insegnato molto. Così invece di dire “perché abbiamo affittato questa terribile casa?” stiamo dicendo: “menomale che stiamo imparando cosa bisogna guardare quando si acquista un immobile”.[/blockquote]

L’errore: tre regole per renderlo produttivo

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  • Sperimentare molte idee diverse, mettendo in conto che qualcuna non riuscirà.
  • Provare in piccola scala, per sopravvivere a un eventuale insuccesso senza troppi disastri.
  • Individuare l’errore e aggiustarlo subito.

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Anche i grandi sbagliano

Richard Branson: ho sbagliato, e allora?

Alcuni imprenditori prendono i loro errori troppo sul serio, invece occorre trarre insegnamento da essi, e ricominciare. Bisogna anche fare di tutto per sopravvivere, così anche se si fallisce si dormiranno sogni tranquilli. Moltissimi multimilionari sono passati da due o tre fallimenti nella loro vita imprenditoriale, hanno imparato da essi e sono diventati più forti. E le società per azioni sono state create proprio per questo, per dire alle persone: “Provate nuove cose, e se commetterete degli errori, questo non avrà conseguenze dirette su di voi”.

Steve Jobs: quel flop prima dell’iPod

Anche un profeta della tecnologia come Steve Jobs ha commesso qualche errore. Verso la fine degli anni 90 non ha intuito la grande rivoluzione della musica digitale. Si era concentrato sui video e non aveva sviluppato alcun software per gestire collezioni di musica digitale. L’errore costò alla Apple una perdita di 195 milioni di dollari.

Mi sentivo uno scemo – dichiarò Jobs – Pensavo che ormai avessimo perso l’occasione. Avremmo dovuto lavorare sodo per recuperare.

E così fece. Nel gennaio del 2001 nasceva iTunes e nove mesi dopo l’iPod.

Twila Tharp: il vantaggio di non essere arroganti

Uno degli spettacoli più famosi della coreografa americana Twila Tharp è stato Moving on, un musical pluripremiato a Broadway. Tre mesi prima della data di Broadway la coreografa portò lo show a Chicago, per provarlo su una piazza meno importante. Fu un disastro, le critiche furono impietose. La Tharp è molto famosa negli Usa, avrebbe potuto ostinarsi a mantenere lo spettacolo così com’era, invece ha tagliato dei personaggi e alcune scene. Ed è stato un successo.

Gérard Depardieu: la fa fuori dal vaso (ma poi ci ride su)

Il fattaccio è noto. Poco dopo Ferragosto dell’anno scorso, Gérard Depardieu non riesce a trattenersi e fa la pipì nel corridoio dell’aereo (il bagno, in fase di decollo, era chiuso). Guasconata o banale problema di prostata? Difficile dirlo. Facile invece “rimediare”. Come? Con l’autoironia. Pochi giorni dopo, compare infatti sul Web un video in cui il noto attore francese, vestito da Obelix, replica la sua disavventura urinaria, parodiando se stesso. Chapeau.

«Sono andato avanti, un errore alla volta»

(di Silvia Messa)

L’errore si fa. Per supponenza, per ingenuità, per eccesso di entusiasmo. A  volte la passiamo liscia. A volte il mercato ci punisce. L’importante è capire dove abbiamo sbagliato. Augusto Coppola ammette, con umiltà, di avere fatto numerosi errori. E l’insegnamento che ne ha tratto è anche diventato un’iniziativa di formazione e tutoraggio gratuita aperta a tutti, universitari e non, aspiranti imprenditori che hanno un’idea di business: InnovAction lab, www.innovactionlab.org

[blockquote align=”center” variation=”red”]Ho avviato due imprese. La prima, Smarten Software, creata nel 2000, ha avuto successo ed è stata venduta con alti profitti per gli investitori. L’altra, Eris 4, nata nel 2003, vende sistemi per creare profili degli utenti telefonici, anche se è stata venduta in attivo, non ha fatto il botto.

I motivi? Errori. Il primo è stato non monitorare adeguatamente le esigenze dei clienti. Siamo stati arroganti: pensavamo che la nostra “visione” fosse quella giusta. Il secondo errore, più grave nella seconda startup, è stato la scelta del team. Ho selezionato star, piccoli geni dello sviluppo programmi, che si motivano solo con nuove sfide. Invece, qualche talento ci vuole, ma il team deve comprendere soprattutto persone che condividano integrità morale e abbiano chiaro che l’azienda debba essere sviluppata e poi venduta.

La tenuta psicologica è fondamentale nell’imprenditore. Se sbaglia, deve considerare l’errore a livello professionale. Non deve sentirsene intaccato a livello profondo, intimo: chi fa startup sa che sono attività pericolose, il cui esito non è mai garantito. Altro errore: non badare alla liquidità di cassa. Se non ci sono soldi, non si paga la gente e si fallisce. Per l’idea della seconda startup ricevemmo complimenti e premi. Ma quello cui dovevamo mirare era vendere il prodotto: cash is king. Così, alla fine, ho dovuto dare una mano ai sei dipendenti a trovare un altro impiego.[/blockquote]

Tiziana Tripepi

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