Un anno a New York, vivendo di espedienti in mezzo agli scarafaggi. Con un sogno: diventare inviato. Enrico Franceschini ha raggiunto il suo obiettivo. Trent’anni dopo, lo racconta in un libro
Da Bologna a New York, in cerca di fortuna. Com’è andata?
«Sono partito da solo, a 23 anni, con mille dollari in tasca, senza conoscere nessuno e sapendo poche parole di inglese. Ma avevo le idee chiare: diventare inviato. All’inizio ho vissuto di espedienti: rubacchiavo nei negozi, distribuivo i volantini di un topless bar, abitavo in un tugurio con gli scarafaggi. Ma mi documentavo, scrivevo articoli e li mandavo in Italia per posta. Nessuno mi rispondeva».
La svolta?
«Quando una piccola agenzia giornalistica mi ha chiesto di scrivere un pezzo sul boss mafioso John Gambino. Non potevo più copiare e tradurre gli articoli americani, come avevo fatto fino a quel momento. Così, con una bella dose di faccia tosta, ho chiesto aiuto a una giornalista del New York Post, che mi ha messo a disposizione l’archivio del giornale. Ho letto, studiato e scritto per una notte. Alla fine sapevo ogni cosa su Gambino. Il pezzo è andato bene e da lì è partito tutto».
I sacrifici più pesanti, all’inizio?
«Le ristrettezze economiche, il fatto di vivere in un quartiere dove ero praticamente l’unico bianco. Ma soprattutto la solitudine. Allora non c’erano i telefonini e chi varcava l’Oceano era proprio solo. Per fortuna ho incontrato degli amici bolognesi. E ho conosciuto un barista simpatico, Bruce Willis, che faceva anche l’attore. Aveva un carisma speciale. Non a caso ha fatto fortuna a Hollywood».
E poi?
«Sono rimasto negli Usa dieci anni. Poi ho fatto l’inviato in Russia e in Israele. Adesso sono a Londra da sette anni. Ogni volta che cambio Paese, devo ricominciare da capo: studiare una lingua, una cultura, trovare nuovi punti di riferimento. L’aspetto positivo è che non mi annoio mai. Mi sembra di aver vissuto più vite. Del resto, si fanno figli e si crede nelle religioni perché una vita non basta».
Pro e contro della vita da inviato?
«Ho vissuto situazioni pericolose come guerre, rivoluzioni, terremoti. Mi sono stressato e ho avuto paura di sbagliare. Di contro, ho incontrato persone straordinarie come gli attori Al Pacino e Robert De Niro e lo scrittore Amos Oz. Ho intervistato Gorbaciov, in occasione delle sue storiche dimissioni. Una sera ho preso a noleggio un frac e sono andato a Buckingham Palace, a cena dalla regina Elisabetta».
Quali i requisiti base di un bravo corrispondente?
«Io ce l’ho fatta grazie al coraggio di chi non ha niente da perdere e alla fortuna di essere al posto giusto nel momento giusto. Contano le qualità umane: intraprendenza e una voglia matta di riuscire. Il talento e il fiuto per le notizie sono importanti, ma secondari».
Identikit
Enrico Franceschini, 53 anni, bolognese. A 23 anni, lascia l’Italia per andare a New York e tentare la carriera di corrispondente dagli Usa. «Se va male, fra un anno torno a casa» disse. Non è ancora tornato. Sposato due volte (con un’italoamericana e una russa), ha un figlio. Dopo dieci anni come corrispondente dagli Stati Uniti, è stato otto anni in Russia e sei in Israele. Da sette è inviato da Londra per la Repubblica. Oltre che giornalista, è anche scrittore. Per Feltrinelli ha pubblicato i romanzi La donna della Piazza Rossa (5,68 euro) e Fuori stagione (12 euro). Suoi anche i libri-inchiesta Russia, istruzioni per l’uso (12 euro) e Avevo vent’anni, storia di un collettivo studentesco (8,50 euro).
Il suo blog è http://franceschini.blogautore.repubblica.it
Lucia Ingrosso, Millionaire 7-8/2009