L’azienda chiude, gli operai la fanno rinascere

Di
12 Marzo 2013

Eravamo senza lavoro e senza prospettive dopo anni di cassa integrazione. Sapevamo che era finito il tempo di aspettarsi le cose dall’altro: dovevamo muoverci e contare sulle nostre forze. Cosi abbiamo preso in mano il nostro destino».

Michele Morini è tra i responsabili di un gruppo di ex dipendenti della Maflow, società del settore dell’automotive, che dopo il fallimento dell’azienda ha deciso di non darsi per vinto. Tutti insieme hanno creato una cooperativa per riciclare rifiuti elettronici e l’hanno chiamata RiMaflow. Come sede hanno scelto proprio vecchio stabilimento a Trezzano sul Naviglio (MI), abbandonato dopo la chiusura.

 Come vi state finanziando nella fase di startup?

Dal 2010 sapevamo che la chiusura era vicina. Allora abbiamo ideato eventi per raccogliere fondi, coinvolgendo la gente nelle nostre iniziative. Cosa che facciamo tutt’oggi. Inoltre, non paghiamo l’affitto. Lo stabilimento è di proprietà della Unit Credit che ce lo ha concesso gratuitamente, anche perché non ci sono compratori interessati».  

 Cosa significa per voi la RiMaflow?

La crisi non è solo economica. È ambientale e morale. Il prefisso “Ri” di RiMaflow sta per rinascita: la nostra, quella dell’azienda, ma anche della natura e dei valori. Riciclare significa ridistribuire la ricchezza che si è buttata troppo in fretta. E con essa recuperare anche quei vecchi e sani principi, come la difesa del patrimonio naturale e il risparmio». 

Per sapere di più sulla storia dei dipendenti della RiMaflow puoi leggere qui il diario di anni di lotte e impegno.

Giancarlo Donadio

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